Questo provvedimento segna una svolta storica, in quanto elimina una disparità di trattamento che perdurava da oltre trent’anni, riconoscendo finalmente un’integrazione al minimo anche ai pensionati con regime contributivo puro, a seguito della riforma Dini del 1995.
La sentenza n. 94/2025 della Corte Costituzionale, pubblicata il 3 luglio, ha dichiarato incostituzionale il divieto di integrazione al trattamento minimo delle pensioni di invalidità per i lavoratori che hanno iniziato a versare contributi dal 1° gennaio 1996, ovvero i cosiddetti contributivi puri. Tale divieto era stato introdotto dalla legge n. 335/1995, nota come riforma Dini, che aveva modificato profondamente il sistema pensionistico italiano, imponendo un passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo basato sui contributi effettivamente versati.
Prima di questa sentenza, i pensionati con regime contributivo puro non potevano beneficiare dell’integrazione al trattamento minimo, a differenza degli altri pensionati in regime retributivo o misto. La Consulta ha riconosciuto che questa disparità era ingiustificata e contrastava con i principi costituzionali di uguaglianza e tutela delle condizioni di bisogno sanciti dall’articolo 38 della Costituzione.
Per il 2025, l’importo minimo delle pensioni di invalidità è stato fissato a 603,39 euro mensili, e pertanto gli assegni non potranno più essere inferiori a questa soglia, anche per i pensionati contributivi puri.
A chi spetta l’aumento e i limiti sugli arretrati
L’aumento riguarda esclusivamente i trattamenti di invalidità che risultano inferiori al trattamento minimo previsto dalla legge, quindi soprattutto pensionati con regime contributivo puro che percepivano assegni inferiori ai 600 euro mensili. Tuttavia, la Corte ha stabilito che non saranno corrisposti arretrati per gli anni passati: le nuove regole si applicheranno solo ai pagamenti erogati a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza.
Questa decisione rappresenta un importante passo in avanti per superare le iniquità del passato, ma lascia insoddisfatti molti pensionati che hanno subito una perdita economica per anni. L’aumento interesserà dunque i soli assegni futuri, garantendo però un trattamento più equo e uniforme tra le diverse categorie di pensionati.

Oltre alla sentenza della Corte, per il 2025 sono stati previsti ulteriori incrementi delle prestazioni assistenziali e delle pensioni di invalidità civile, con rivalutazioni basate sull’aumento del costo della vita, fissato al +4,49% a partire dal 1° gennaio 2025. L’INPS ha comunicato i nuovi importi e limiti reddituali aggiornati, che vedono un aumento generalizzato delle pensioni e degli assegni sociali.
In particolare, la pensione di invalidità civile per chi ha una capacità lavorativa ridotta tra il 74% e il 99% è stata rivalutata da 333,33 euro a circa 336 euro mensili per il 2025. Per gli invalidi totali al 100%, che non possono svolgere alcuna attività lavorativa, è previsto un aumento più consistente grazie all’“incremento al milione”, una maggiorazione aggiuntiva riconosciuta dalla Corte Costituzionale già dal 2020 a partire dal compimento dei 18 anni, anziché dal sessantesimo come precedentemente.
Nel 2025, tale incremento porta la pensione minima degli invalidi totali a circa 740 euro mensili, un aumento di quasi 404 euro rispetto al 2024. Questo valore è dato dall’aggiunta di una quota fissa di 136,44 euro all’importo base rivalutato.
Prestazioni assistenziali e nuovi limiti di reddito
L’INPS ha inoltre aggiornato i limiti di reddito per l’accesso alle diverse prestazioni assistenziali. Ad esempio, il limite reddituale annuo personale per gli invalidi totali, ciechi civili e sordomuti è stato fissato a 19.772,50 euro, mentre per gli invalidi parziali e minori il limite è di circa 5.771 euro. Questi limiti determinano l’accesso e la misura delle pensioni e delle indennità riconosciute.
Un’attenzione particolare è stata riservata anche alle persone con più di 80 anni e con bisogni assistenziali gravissimi, per le quali nel 2025 sarà introdotta una “Prestazione Universale” da 850 euro mensili, destinata a coprire i costi per servizi di assistenza. L’accesso a questa nuova indennità sarà però vincolato a un ISEE non superiore a 6.000 euro e a criteri stabiliti dal Ministero della Salute.