Per il 2026, l’INPS ha aggiornato i requisiti per l’accesso alla pensione, offrendo agli italiani diverse opzioni in base alla carriera contributiva e all’età anagrafica. Il sistema pensionistico italiano, come è noto, è complesso e articolato, e prevede diverse combinazioni di anni di contributi e limiti di età, con eccezioni significative che dipendono da particolari situazioni sociali o lavorative.
L’INPS, con questi aggiornamenti, cerca di trovare un equilibrio tra la sostenibilità economica del sistema previdenziale e la tutela dei diritti dei lavoratori.
Pensioni: tutte le novità del 2026
Nel 2026, le modalità di pensionamento varieranno in base al numero di anni di contributi versati e all’età. Chi ha versato almeno 5 anni di contributi potrà accedere alla pensione di vecchiaia contributiva a partire dai 71 anni. Questa opzione è riservata a coloro che hanno iniziato a versare contributi dopo il 31 dicembre 1995. Il vantaggio di questa formula è che non ci sono limiti minimi sull’importo dell’assegno pensionistico, sebbene la cifra ricevuta sarà proporzionale ai contributi versati.

Chi ha maturato almeno 20 anni di contributi avrà più opzioni a disposizione. Una delle possibilità è di andare in pensione a 67 anni, in linea con l’età prevista per le pensioni ordinarie. In alternativa, esiste la possibilità di un pensionamento anticipato a 64 anni, ma solo per coloro che non abbiano versato contributi prima del 1996 e abbiano accumulato un assegno pensionistico almeno triplo rispetto all’assegno sociale. Inoltre, per chi ha un’invalidità pari o superiore all’80%, l’uscita anticipata è possibile a partire dai 56 anni per le donne e 61 anni per gli uomini.
Una delle novità più rilevanti del 2026 riguarda la pensione anticipata ordinaria, che permetterà di andare in pensione indipendentemente dall’età al raggiungimento di specifici anni di contributi. In particolare, saranno necessari 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Tuttavia, va notato che esisterà una finestra di attesa di tre mesi prima che la pensione venga effettivamente erogata. Pertanto, in pratica, molti lavoratori continueranno a lavorare fino a raggiungere circa 43 anni di contributi effettivi.
Parallelamente, per i lavoratori precoci (coloro che hanno iniziato a lavorare in giovane età) rimarrà valida la quota 41, che consente di andare in pensione con almeno 41 anni di contributi. Questa opzione è aperta a specifiche categorie professionali, come caregiver, invalidi, addetti a lavori gravosi o usuranti, e disoccupati.
Tra le pensioni in deroga, una delle misure più discusse è Opzione Donna, che consente l’uscita anticipata con 35 anni di contributi, ma il futuro di questa opzione è incerto. È possibile che venga eliminata entro la fine del 2025, lasciando spazio a nuovi percorsi di pensionamento. Al contrario, altre agevolazioni, come quelle per i lavoratori usuranti, rimarranno confermate. Questi lavoratori, che svolgono mansioni particolarmente gravose (come operai alla catena di montaggio, conducenti di mezzi pubblici, e lavoratori notturni), potranno andare in pensione a 61 anni e 7 mesi con la cosiddetta quota 97,6, che richiede almeno 35 anni di contributi.
L’APE Sociale, una misura già introdotta in precedenza, continuerà a essere un’opzione importante per le categorie svantaggiate, come caregiver, invalidi, disoccupati e lavoratori con mansioni gravose. I requisiti per l’accesso a questa prestazione sono i seguenti: per caregiver, invalidi e disoccupati sono richiesti almeno 30 anni di contributi, mentre per chi svolge lavori gravosi sono necessari 36 anni di contributi. In ogni caso, è prevista un’età minima di 63 anni e 5 mesi.