Il deep-sea mining promette di ridurre la dipendenza dalla Cina e aumentare l’economia statunitense con 300 miliardi di dollari in dieci anni e la creazione di centomila posti di lavoro. L’ordine accelera le licenze per attività di mining nelle acque americane. Tuttavia, potrebbe scontrarsi con l’International Seabed Authority delle Nazioni Unite, a cui la Cina ha forti legami. A beneficiare maggiormente è The Metals Company, leader nel settore.
La settimana scorsa, l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che segna un passo significativo verso l’accelerazione dell’estrazione mineraria dai fondali marini. Questa decisione, parte di una strategia più ampia per ridurre la dipendenza economica dagli approvvigionamenti cinesi, potrebbe avere ripercussioni importanti sia dal punto di vista economico che geopolitico. L’industria del deep-sea mining, sebbene emergente e ancora poco regolamentata, promette di fornire quantità sostanziali di metalli rari essenziali per diversi settori, tra cui quello dell’energia rinnovabile, dell’elettronica avanzata e della difesa.
La corsa ai metalli rari
L’ordine firmato da Trump prevede che il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti acceleri i processi autorizzativi per i progetti di esplorazione e recupero di minerali dai fondali marini, sia nelle acque costiere americane che in quelle internazionali. Il Segretario degli Interni, Doug Burgum, avrà il compito di gestire l’assegnazione delle licenze per le attività di estrazione, applicando le stesse normative vigenti per le trivellazioni petrolifere in mare. Inoltre, agenzie governative come la Export-Import Bank e l’International Development Finance Corporation saranno coinvolte nel finanziamento e nel supporto di iniziative legate a esplorazione, estrazione, lavorazione e monitoraggio ambientale delle risorse sottomarine.

L’ordine esecutivo ha l’obiettivo di garantire il dominio americano sui minerali presenti nei fondali profondi, come affermato nel documento ufficiale. Questa iniziativa è vista come un passo cruciale per la sicurezza nazionale e l’economia statunitense, mirando a mantenere la leadership nella scienza e nella tecnologia delle profondità marine. Le stime suggeriscono che nelle acque americane si trovano oltre un miliardo di tonnellate di noduli polimetallici, che contengono metalli preziosi come manganese, cobalto, nichel e rame. L’estrazione di questi minerali potrebbe generare un incremento del prodotto interno lordo americano di circa 300 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni e creare centomila posti di lavoro, un aspetto fondamentale in un contesto economico globale sempre più competitivo.
L’ordine esecutivo rappresenta una risposta diretta alle recenti restrizioni imposte dalla Cina sulle esportazioni di terre rare come il samario e il gadolinio, di cui la Cina detiene una posizione di monopolio a livello globale. Questo scenario ha spinto l’amministrazione Trump, così come quella successiva di Joe Biden, a cercare di diversificare le fonti di approvvigionamento e potenziare la filiera nazionale di minerali critici.
La portata dell’ordine esecutivo potrebbe anche entrare in conflitto con l’International Seabed Authority, un ente delle Nazioni Unite responsabile della regolazione internazionale del deep-sea mining. Gli Stati Uniti non hanno mai ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e partecipano all’International Seabed Authority solo come osservatori. Questa situazione ha generato tensioni, con il portavoce del Ministero degli Esteri cinese che ha dichiarato che l’atto di Trump viola il diritto internazionale, applicandosi a zone del fondale marino che non appartengono a nessun Paese.