Musica
di Simone Stefanini 3 Settembre 2019

Powerslave degli Iron Maiden compie 35 anni e fa ancora impazzire

Gli Iron Maiden al massimo dello splendore per un album che è rimasto scolpito nella storia

Anniversari di questo tipo ti fanno sentire un vecchio serio, ma non si può non levare i calici per un brindisi a Powerslave degli Iron Maiden, che compie 35 anni proprio oggi e merita una riascoltata di quelle fatte bene, per poter godere ancora del capolavoro della band metal più famosa nel mondo.

Powerslave è uscito il 3 settembre 1984 ed è il primo con una formazione stabile da qualche tempo: Bruce Dickinson alla voce,  Steve Harris al basso, Adrian Smith e Dave Murray alle chitarre e Nicko McBrain alla batteria. È la stessa formazione del precedente album Piece of Mind, ma Powerslave non ha neanche un pezzo debole e lancia gli Iron Maiden nella stratosfera del metal.

Già la copertina a tema egizio, con la sinistra mascotte Eddie in versione faraone davanti a una piramide, è qualcosa di epico e il tour che ne verrà fuori, sempre con scenografia a tema, sarà uno dei più riusciti di sempre. Non a caso è immortalato nel doppio album + video Live After Death del 1985. Ecco, a son di parlarne mi è venuta una voglia matta di riascoltarlo, e potete andare tranquilli che sarà la milionesima volta. Gli Iron Maiden infatti sono il giusto connubio per chi è cresciuto negli anni ’80 e vuole ribellarsi ai genitori senza cedere al metal estremo. Melodie, cavalcate, testi storici, epici, voci potenti, cambi di tempo, Champions League di assoli, effetti sonori, headbanging responsabile dell’80% della cervicale dei 40enni, addominali scolpiti dalla fantasia e si vola di nuovo.

Aces High: ecco, partenza più pettoruta non esiste. Si parla dei piloti che difesero l’Inghilterra dagli aerei dell’odiata Germania nazi. Classicone della band che funziona anche meglio con l’intro del discorso di Churchill che viene usato dal vivo. Se non si vola qui, si può spegnere tutto e recarsi a casa.

2 Minutes to Midnight: altro classicone presente quasi sempre nei live, metal tipico della NWOBHM (l’ondata british degli anni 80). Ritornello assassino che fa perdere la voce, riferimenti alla guerra nucleare e all’Apocalisse, battaglia di assoli che culminano in un mid tempo dolce che un po’ commuove, ma poi riparte killer.

Losfer Words (Big ‘Orra): strumentale per far vedere chi comanda.

Flash of the Blade: l’avete sentita anche nella colonna sonora di Phenomena di Dario Argento. Ha un inizio travolgente che la fa partire a mille e non si ferma mai. Parla di un giovane guerriero al quale è stata uccisa la famiglia da piccolo. Se non la sentite dentro siete davvero insensibili. Il basso combinato con le chitarre fa magie nere.

The Duellists: di cosa parla lo si evince bene dal titolo (ispirata da The Duel di Conrad Joseph). Partenza da cavalcata imperiale, ritornello con voce e basso che fanno le gare. Meriterebbe più fortuna ma è attorniata da diamanti lavorati finemente e, seppure pezzone, si perde un po’.

Back in the Village: l’inizio sembra un pezzo dei primi Iron Maiden, quelli con Paul Di’Anno alla voce. Batteria velocissima, ritornello non convincentissimo ma non ditelo a Bruce Dickinson che quello con la spada ci sa fare.

Powerslave: e che gli dici a Powerslave? Classico dei classici, scale arabe su heavy metal classico, testo che parla di un faraone che cerca l’immortalità e che invece non diventa Dio, quindi si contraria e si chiede perché debba morire. Risposta: ciccio, tocca a tutti. Dopo la cavalcata, l’intermezzo melodico è da brividi e la ripartenza sembra un razzo sotto al culo. Finale da fuochi d’artificio e ancora non siamo alla fine.

Rime of the Ancien Mariner: capolavoro. Un pezzo da quasi 14 minuti che altro che quelle lagne dei Tool. Tratto dalla poesia La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge, inizia senza respiro con la classica cavalcata dei Maide, poi cambia settemila volte tempo senza stancare l’ascoltatore, che poi sarei io, in piena trance agonistica. Ritornello che vorresti cantare col mondo intero, corna al cielo e tamarraggine superba. Poi gli stop, tipo prog ma meno palloso, il China di Nicko che si mette in mostra e la falsa fine. Il basso quasi psichedelico che disegna onde su un letto di chitarre evanescenti e lì ti perdi proprio. Ti riprendi quando il pezzo riparte con una nuova melodia, un nuovo tema e una potenza che l’epicometro esplode.

Non c’è molto da aggiungere agli Iron Maiden di Powerslave, sono come il Cavaliere Nero della famosa storiella di Gigi Proietti: non gli devi… vabé, ci siamo capiti.

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