Entro il prossimo ottobre la Camera dei Deputati si pronuncerà sull’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario Andrea Mantovano per il cosiddetto caso Almasri.
L’inchiesta riguarda il rimpatrio con un volo di Stato del generale libico Almasri, ricercato dalla Corte penale internazionale (CPI), con l’accusa di favoreggiamento nei confronti di tutti e tre i politici coinvolti. A Piantedosi e Mantovano si contestano anche ipotesi di peculato, mentre per Nordio è al centro dell’indagine il reato di omissione di atti d’ufficio.
Le accuse e la difesa del governo
Nel procedimento che vede coinvolti i tre esponenti dell’esecutivo, il governo italiano ha presentato al Tribunale dei ministri una memoria in cui si invoca la “sussistenza dello stato di necessità” previsto dal diritto internazionale. Secondo questa tesi, si possono adottare misure straordinarie anche illecite per tutelare interessi essenziali dello Stato di fronte a rischi gravi, come la presenza sul territorio italiano di un soggetto considerato pericoloso. Tuttavia, gli inquirenti rigettano questa interpretazione e contestano la legittimità delle azioni intraprese.
La premier Giorgia Meloni, intervenuta al Tg5 in merito alla controversia con il mondo giudiziario, ha definito gli sviluppi giudiziari come un “disegno politico” volto a ostacolare la linea dura del governo sull’immigrazione. La presidente del Consiglio ha inoltre difeso il ruolo dei suoi ministri: “I miei ministri non governano a mia insaputa, io non sono Alice nel Paese delle Meraviglie, sono il capo del governo”, ha affermato, rispondendo alle voci che ipotizzano una sua estraneità ai fatti.
Il Tribunale dei ministri, nell’atto con cui chiede l’autorizzazione a procedere contro Nordio, Piantedosi e Mantovano, sottolinea come la decisione di respingere la richiesta della Corte penale internazionale e di espellere Almasri fosse probabilmente motivata da timori di ritorsioni in Libia contro cittadini e interessi italiani. Tale preoccupazione sarebbe stata espressa durante incontri istituzionali dal prefetto Caravelli, direttore dell’Aise, l’agenzia italiana per la sicurezza esterna.
Nel dettaglio, vengono evidenziate responsabilità precise: per Nordio, la mancata cooperazione con la CPI; per Piantedosi, il decreto di espulsione; per Mantovano, l’organizzazione del volo di Stato che ha permesso il ritorno immediato del generale libico. Il Tribunale ritiene che queste azioni siano state compiute consapevolmente e con volontà di aiutare Almasri a sottrarsi alla giustizia internazionale.

Gli atti del Tribunale evidenziano che il decreto di espulsione emesso dal ministro dell’Interno è stato ritenuto irrazionale e illegittimo. La motivazione ufficiale, basata sulla tutela dell’ordine pubblico, ha avuto come conseguenza paradossale il rimpatrio di un individuo libero di continuare a commettere reati analoghi a quelli per cui era già sotto indagine.
Inoltre, il Tribunale afferma che l’impiego del volo di Stato (volo CAI) non può essere considerato una decisione funzionale a un interesse pubblico legittimo. Piuttosto, rappresenta uno strumento attraverso cui è stato commesso il reato di favoreggiamento. La discrezionalità del potere è stata deviata per perseguire scopi illeciti, secondo la ricostruzione giudiziaria.
Questa complessa vicenda, che intreccia questioni di diritto internazionale, sicurezza nazionale e rapporti diplomatici con la Libia, si avvicina dunque a un passaggio cruciale: il voto della Camera che potrebbe definire il destino giudiziario dei protagonisti di uno dei casi più delicati e controversi della politica italiana recente.