Il dibattito sull’esternalizzazione del controllo migratorio in Europa si arricchisce di un nuovo capitolo con l’entrata in vigore del recente regolamento europeo che potrebbe dare il via libera all’attivazione dei centri in Albania, progetto fortemente voluto dal governo Meloni.
Dopo anni di stallo dovuti a ricorsi giudiziari e dubbi di legittimità, la riforma del sistema europeo di asilo apre nuove prospettive per la gestione dei migranti intercettati nel Mediterraneo.
Le novità del regolamento europeo e il progetto Italia-Albania
L’accordo bilaterale tra Italia e Albania prevede la creazione e gestione, in territorio albanese, di centri destinati a ospitare migranti provenienti da paesi considerati “sicuri”. Questi centri, attualmente pronti ma non ancora operativi, dovrebbero svolgere funzioni di identificazione, trattenimento e esame accelerato delle richieste di asilo, con l’obiettivo di snellire le procedure e aumentare i rimpatri. Il nuovo regolamento europeo introduce per la prima volta una lista comune di Paesi sicuri, che include stati come Tunisia, Egitto e Bangladesh, consentendo così l’applicazione di procedure accelerate.
Oltre a questo, la riforma rafforza le procedure di frontiera – rendendole più rapide e orientate a respingimenti immediati – e apre formalmente la possibilità di istituire return hubs in Paesi terzi, ossia centri di trattenimento per migranti destinati al rimpatrio. Inoltre, sono stati stabiliti nuovi standard più rigorosi per i tempi e le condizioni del trattenimento. Secondo il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, queste novità rendono “pienamente attivabili” le strutture albanesi, sancendo una svolta rispetto alle resistenze giuridiche che avevano finora bloccato il progetto.
Nonostante il progressivo sostegno normativo europeo, il dossier aggiornato della Fondazione Migrantes sottolinea numerose criticità nel modello di esternalizzazione delle procedure di asilo. La valutazione è severa e mette in guardia sui rischi che questa politica comporta sul piano democratico e dei diritti fondamentali. Innanzitutto, la gestione dei centri fuori dall’Unione Europea conduce a una mancanza di trasparenza e controllo pubblico. L’accesso a giornalisti, ONG e osservatori indipendenti risulta fortemente limitato, generando una zona d’ombra sulle condizioni di trattenimento e sulle procedure adottate.

Un secondo problema riguarda la zona grigia della responsabilità legale: la sovrapposizione di normative europee, locali e bilaterali rende complessa l’individuazione della giurisdizione competente in caso di violazioni o abusi, rendendo difficoltoso garantire i diritti dei richiedenti asilo. Il terzo aspetto è l’indebolimento strutturale delle garanzie: spostare le procedure fuori dall’Europa significa allontanare le persone dai meccanismi di tutela previsti dal diritto europeo, con il rischio che i migranti vengano trattati come semplici casi amministrativi invece che come individui titolari di diritti fondamentali.
Infine, Migrantes evidenzia come l’efficacia reale dei rimpatri sia tutt’altro che dimostrata. Il vero risultato sembra essere di natura politica: trasmettere un’immagine di fermezza e controllo ai cittadini nazionali, senza però garantire risultati concreti sul terreno. L’esperienza dei centri in Albania si configura come un vero e proprio laboratorio politico e giuridico, che mette alla prova la coerenza dell’Unione Europea rispetto ai suoi principi fondanti. Gli interrogativi rimangono aperti: è possibile assicurare standard di tutela europei in Paesi terzi? Chi esercita un controllo effettivo sulle condizioni di trattenimento?
E soprattutto, può un’Europa che esternalizza gran parte della gestione dell’asilo definirsi ancora coerente con i valori di diritti umani e democrazia che dichiara di sostenere? Il dossier di Migrantes sottolinea che la scelta di esternalizzare non è solo una questione tecnica, ma un passaggio politico che ridefinisce il rapporto tra diritti fondamentali e gestione delle frontiere. La strada intrapresa dall’Italia con l’Albania, insieme agli accordi simili con altri Paesi terzi come Libia e Tunisia, rappresenta dunque un punto di svolta che influenzerà profondamente la tenuta democratica e la credibilità politica di tutta l’Unione Europea.

