Un nuovo tragico episodio si è consumato nella Striscia di Gaza dove cinque giornalisti dell’emittente qatariota Al Jazeera sono stati uccisi durante un raid aereo israeliano.
L’attacco, avvenuto domenica scorsa nei pressi dell’ospedale al-Shifa a Gaza City, ha segnato un ulteriore drammatico capitolo nella guerra mediatica che accompagna il conflitto militare. Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ), sono ormai 186 i cronisti caduti dall’inizio dell’offensiva israeliana, partita nell’ottobre 2023.
I dettagli dell’attacco e le vittime
Le vittime del raid sono i corrispondenti Anas al-Sharif e Mohammed Quraykh, insieme ai fotografi Ibrahim Zaher, Mohammed Nofel e Ma’man Aliwah. Tutti si trovavano in una tenda adibita a spazio di lavoro per i media proprio di fronte all’ospedale al-Shifa, considerato un’area relativamente sicura. Al momento dell’attacco, secondo quanto riferito da Al Jazeera, non erano presenti combattimenti nelle vicinanze, rendendo ancora più grave e controversa la natura dell’azione militare.
L’emittente ha condannato l’accaduto definendolo un “assassinio mirato” e un “attacco palese e deliberato alla libertà di stampa”, attribuendo piena responsabilità all’esercito israeliano e al governo di Benjamin Netanyahu. In una nota ufficiale, la rete televisiva ha denunciato “i crimini atroci e i tentativi continui di mettere a tacere la voce della verità”, chiedendo un intervento urgente della comunità internazionale per prevenire ulteriori violenze contro i giornalisti.
L’esercito israeliano ha confermato di aver preso di mira Anas al-Sharif, accusandolo di essere un comandante di una cellula di Hamas e di aver partecipato a operazioni di attacchi missilistici contro obiettivi civili e militari israeliani. Secondo le dichiarazioni ufficiali, esisterebbero “prove documentali” della sua appartenenza al movimento palestinese, anche se non sono stati forniti dettagli né sui nomi degli altri giornalisti uccisi né su ulteriori evidenze.
Queste affermazioni sono state prontamente respinte da Al Jazeera, che ha parlato di una “campagna di incitamento” e di un tentativo di delegittimare il lavoro dei propri cronisti. Jody Ginsberg, direttrice esecutiva del CPJ, ha sottolineato come finora le autorità israeliane non abbiano presentato prove concrete che giustifichino le accuse di attività terroristiche nei confronti dei reporter. “È un copione già visto: un giornalista viene ucciso e Israele lo etichetta come terrorista senza fornire adeguate giustificazioni”, ha dichiarato.
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Oltre ai rischi diretti derivanti dai bombardamenti, i giornalisti ancora presenti a Gaza si trovano a fronteggiare condizioni di vita estremamente difficili. La fame e la mancanza di risorse aggravano ulteriormente la situazione di chi cerca di documentare le atrocità della guerra. Oltre 100 organizzazioni umanitarie e per i diritti umani hanno più volte lanciato allarmi circa il rischio di una carestia nella Striscia di Gaza, mentre Israele, che controlla rigidamente l’ingresso degli aiuti, accusa tali organizzazioni di diffondere la “narrativa di Hamas”.
Il direttore di Al Jazeera ha definito Anas al-Sharif “l’unica voce che riflette la realtà di Gaza per il mondo”, ricordando come i giornalisti uccisi avessero condiviso con la popolazione locale “la stessa fame e sofferenza che documentavano con le loro telecamere”. Prima della sua morte, al-Sharif aveva pubblicato un video in cui denunciava i “bombardamenti incessanti” nelle aree orientali e meridionali di Gaza City, fornendo un ritratto vivido e crudo della situazione sul terreno.
L’attacco ai cinque reporter rappresenta così un colpo gravissimo non solo per la libertà di stampa, ma anche per la capacità del mondo di conoscere e comprendere la complessità del conflitto in corso.