Il Senato ha definitivamente approvato la delega al governo per l’introduzione di una forma di salario minimo in Italia, una misura controversa che ha suscitato accese reazioni in aula.
La normativa, frutto di un compromesso tra maggioranza e opposizione, affida ora all’esecutivo l’onere di definire i dettagli attraverso specifici decreti legislativi entro sei mesi.
L’approvazione della delega: cosa prevede il provvedimento
La nuova legge rappresenta un passo significativo nel dibattito italiano sul salario minimo legale. Originariamente proposta dalle opposizioni come legge immediatamente applicativa, la norma è stata trasformata dalla maggioranza in una delega al governo, il quale potrà decidere se e come esercitarla. Nel dettaglio, i decreti legislativi dovranno stabilire, per ogni categoria di lavoratori, i contratti collettivi nazionali di lavoro più diffusi e far sì che il trattamento minimo previsto da tali contratti costituisca la retribuzione economica minima garantita ai lavoratori della stessa categoria.
Questo sistema si basa quindi sul principio di valorizzare la contrattazione collettiva, senza fissare una soglia fissa di salario minimo a livello nazionale, come invece proposto in precedenza dalle opposizioni (che suggerivano una soglia minima di 9 euro all’ora). Rimangono esclusi dalla disciplina i lavoratori del settore pubblico. Inoltre, il testo indica l’introduzione di strumenti che possano favorire il progressivo sviluppo della contrattazione di secondo livello a livello territoriale o aziendale, un elemento che fa riferimento a possibili “gabbie salariali”, ossia limiti nella contrattazione autonoma.
Il provvedimento ha incontrato una forte opposizione da parte di tutte le forze politiche dell’opposizione, compresa Italia Viva, che in aula ha espresso voto contrario. Le critiche maggiori sono arrivate dai partiti di sinistra e dai 5 Stelle, che hanno definito la legge una “truffa per i lavoratori” e un “strumento di propaganda privo di effetti concreti sulle dinamiche salariali”. I grillini hanno sottolineato come ancora oggi siano circa quattro milioni i lavoratori con retribuzioni al di sotto della soglia di povertà, denunciando l’inefficacia della delega nel risolvere questa situazione.
Annamaria Furlan, ex segretaria generale della Cisl e senatrice di Italia Viva, aveva proposto un emendamento per prevedere la concertazione con i sindacati nella definizione dei decreti legislativi, proposta però respinta dalla maggioranza.

Il centrodestra, pur sostenendo la delega, si è mostrato paradossalmente critico verso il concetto stesso di salario minimo legale. Raoul Russo (Fratelli d’Italia) ha definito la misura un residuo del “socialismo reale”, mentre Micaela Biancofiore l’ha bollata come “misura assistenzialistica”. Nonostante ciò, la maggioranza ha votato a favore della delega, affidando al governo Meloni il compito di implementare la normativa.
La delega al governo si inserisce in un contesto europeo in cui la direttiva sul salario minimo ha spinto gli Stati membri a introdurre regole comuni per garantire una retribuzione dignitosa ai lavoratori. Il governo italiano aveva già ricevuto una delega per recepire tale direttiva nella legge di delegazione europea 2022-2023, approvata a febbraio 2024, ma non aveva ancora esercitato tale potere.
Con l’approvazione di questo nuovo testo, il governo ha ora sei mesi di tempo per definire i decreti attuativi che concretizzeranno la riforma. Resta però alta la tensione tra le parti sociali e all’interno dello stesso schieramento di maggioranza, con possibili ripercussioni sull’effettiva concretizzazione di un salario minimo efficace e capace di ridurre le disuguaglianze salariali nel nostro Paese.