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Addio Azeglio Vicini, addio alle notti magiche

Roberto Baggio e Azeglio Vicini

 

I colori pastello delle televisioni a tubo catodico con lo schermo leggermente ricurvo, grandi casse lontane anni luce dagli schermi piatti a cui siamo abituati oggi. Le immagini sgranate, il suono ovattato di telecronache ancora emotivamente fredde, gli occhi di Totò Schillaci che racchiudono un mondo. Un sogno spezzato, la sconfitta dell’uomo qualunque che cerca la grande impresa. Era il 1990. Il presidente del consiglio era Giulio Andreotti, il presidente della Repubblica Francesco Cossiga e sulla panchina della nazionale italiana era seduto Azeglio Vicini.

Erano le notti magiche in cui tutti, o quasi, inseguivano un gol sotto il cielo come cantavano Edoardo Bennato e Gianna Nannini. E l’allenatore nato a Cesana nel 1933 e morto oggi 30 gennaio era quasi riuscito nell’impresa di vincere il campionato del Mondo di calcio dentro i  confini della penisola italica. Un sogno che si infrange contro l’Argentina di un certo Diego Armando Maradona, anche se il gol che ci porterà alla sconfitta ai rigori in una tiratissima semifinale sarà del biondo Claudio Caniggia che riesce a sfruttare un innocuo cross di Julio Olarticoechea detto El Vasco. Ma non c’entra nulla Vasco Rossi che all’epoca cantò e registrò a San Siro il suo album live tre giorni dopo la finalina per il terzo e quarto posto vinta dall’Italia contro l’Inghilterra con gol di Roberto Baggio e Schillaci che, con questa rete, divenne capocannoniere della competizione.  Altra musica, altro calcio, altri giocatori. Tempi diversi che ormai fanno parte del passato ma che ancora sanno scaldare il cuore.

Gli azzurri di Italia 90

 

Azeglio Vicini è stato, più che un semplice allenatore, un direttore d’orchestra di una banda spensierata di giovani promettenti  come Roberto Baggio, Gianluca Vialli, Roberto Mancini, Paolo Maldini, Giuseppe Giannini, Ciro Ferrara e di veri pilastri come lo erano Franco Baresi, Giuseppe Bergomi. Capitani e bandiere di squadre diverse riuniti sotto il tricolore. E poi Salvatore Schillaci divenuto un eroe sportivo quasi per caso, un elogio del proletariato che riesce a cambiare il corso delle cose.

Sembrava davvero di vivere un grande sogno collettivo. Una squadra serena e divertente, sotto certi punti di vista anche un po’ anarchica nonostante Vicini cercasse di metterla in riga,  ma che riusciva, nonostante tutto, ad emozionare e vincere sospinta anche dall’entusiasmo dei tifosi che avevano messo da parte tutti i problemi, almeno nei novanta minuti più recupero in cui giocava l’Italia.

Probabilmente la sconfitta contro l’Argentina ha segnato un punto di svolta tra il prima e il dopo, tra la spensieratezza e il professionismo esasperato. Infatti dopo quella di Vicini iniziò quella di Arrigo Sacchi. Azeglio Vicini gestiva i talenti defilandosi, con un’antica forma di intelligenza e saggezza.  La sua squadra era una melodia jazz in salsa romagnola, qualcosa di unico. L’Italia sotto la sua guida ha vinto poco o nulla, eppure tutti ci ricordiamo di quella nazionale e quelle notti magiche, magiche per davvero.

Claudio Marinaccio

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