Grim Fandango videogioco storia
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di Mattia Nesto 2 Novembre 2016

7 motivi per cui Grim Fandango è un videogioco eterno

È una pietra miliare della LucasArts anni ’90: e se ve lo siete perso all’epoca, adesso è il migliore momento per riscoprirlo

Grim Fandango videogioco storia  Indimenticabile

Oggi è il 2 novembre e per la cultura ispanico-messicana è un giorno molto particolare: è infatti il Día de Muertos, ovvero il “Giorno dei Morti”. Festeggiato anche alle nostre latitudini, in Messico questa ricorrenza assume una valenza tutta particolare, con colossali pranzi, bevute e gli immancabili pupazzi e travestimenti da scheletro che punteggiano tutte le principali città mesoamericane.

E quale gioco migliore da rispolverare in questo giorno se non Grim Fandango, la celebre avventura grafica per PC realizzata nel 1998 da LucasArt e recentemente rimasterizzata per PlayStation 4, PlayStation Vita, Mac OS e Linux. Qui sotto vi elenchiamo i sette motivi per i quali se ve lo siete perso ai tempi Grim Fandango è un gioco che dovete assolutamente recuperare.

 

Gli scheletri
Grim Fandango si basa sulla concezione azteca del trapasso, ovvero una sorta di viaggio che l’anima deve compiere per arrivare al Nono Aldilà, l’obbiettivo finale. Per farlo il tragitto è particolarmente arduo e viene condotto attraverso la cosiddetta Terra dei Morti. Tim Schafer, a capo del progetto del videogioco, non ebbe molti dubbi su come impostare l’avventura: i protagonisti sarebbero dovuti essere degli scheletri umanoidi, con tanto di vestiti vagamente anni Quaranta e la battuta pronta. Chiaramente ispirati ai calaca del Giorno dei Morti (non a caso l’avventura si svolge proprio in questa data fatidica), i personaggi di Grim Fandango si muovono in un universo grottesco ma credibile.

 

 

 

La grafica
La LucasArts è stata una delle più importanti case di produzioni di videogiochi della storia (a cui si può tranquillamente ascrivere pure qualche capolavoro) fondata da George Lucas nel 1982 e poi fallita nel 2013. Centrale negli anni ’90, dopo il successo di Labyrinth nel 1986, è proprio con Grim Fandango che la LucasArts fa il salto di qualità. Impostato su una solida grafica 3D, il videogioco presenta un’atmosfera da noir americano degli anni ’40, con personaggi stilosi (girano in impeccabili smoking e vestiti da gran sera) e ambientazioni realizzate alla perfezione, tra grattacieli, ambientazioni esotiche, caffè pieni di fascino e cablogrammi che viaggiano a tutta velocità nell’agenzia di “Viaggi per l’aldilà”, nella quale lavora Manuel “Manny” Calavera, il protagonista dell’avventura. Calavera – contraddistinto da un grande sense of humour – sfoggia un sacco di completi elegantissimi, dal già citato smoking bianco (una specie di Agente 007 della Morte) sino ai rigorosi abiti gessati sino al tradizionale mantello da tristo mietitore, che si sa, ben si sposa se sei uno scheletro.

 

Grim Fandango videogioco storia manny-calavera

 

La corruzione
Il fascino di questo videogioco è dovuto anche alla stranezza di inserire in un’avventura grafica negli anni ’90 temi spinosi come la morte e la corruzione nel viaggio per raggiungere l’Aldilà. Già perché quello che Manuel “Manny” Calavera viene a scoprire accidentalmente trattando la “pratica”, per altro soffiata ad un suo infido collega, di Mercedes “Meche” Colomar, è che una defunta di sani principi morali che non ha, inaspettatamente, diritto al biglietto per il Nono Cielo. E scopre che anche nel mondo ultraterreno c’è qualcuno che trama alle spalle dei dipartiti: con un linguaggio insolito e inusuale Grim Fandango tratta così argomenti così rari e bizzarri, ancora al giorno d’oggi, nel mondo dei videogiochi.

La casa di produzione
Come abbiamo detto precedentemente, alla fine degli anni ’90 quando usciva un titolo della LucasArts non si poteva rimanere indifferenti. Un po’ perché l’aurea di George Lucas era (e forse lo è ancora) ben presente nell’immaginario di tutti ma sopratutto perché era la casa che aveva dato alla luce Monkey Island, una delle saghe di maggiore successo di tutti i tempi. Caratterizzati da un’immaginario fantasioso al massimo dei livelli, i titoli della LucasArts avevano la qualità di abbattere regole e schemi che resistevano chissà da quanto. In Grim Fandango il protagonista è pieno di sfaccettature, di qualche luce ma anche e sopratutto di moltissime ombre: perseguendo il fantastico, la LucasArts racconta(va) il reale.

 

lucasartslogo Grim Fandango videogioco storia

 

L’auto
Guidata da Glottis, il demone-meccanico che fa da autista a Calavera, l’auto di Grim Fandango è la quintessenza della tamarraggine dell’epoca mischiata all’immaginario del tuning americano anni ’50, con spire e fiamme dipinte sulle fiancate, marmitte che spuntano da ogni dove, il tutto creato partendo dalla base di un carro funebre imbottitura in velluto rosso. Chiamato Bone Wagon, la macchina è stata tanto amata dai fan più accaniti che è diventata addirittura protagonista di una versione-Lego (la potete vedere qui). Inutile dirvi che una delle parti più divertenti del gioco era guidare questo bolide su e giù per le strade dell’Aldilà.

 

 

Il retrogaming
Sempre più diffusa, la moda del retrogaming è stata una delle tendenze più evidenti durante l’appena terminato Lucca Comics and Games. Perché se da un lato la tecnologia applicata al mondo dei videogiochi ci permette sempre più di immergerci all’interno delle avventure dall’altro sempre un maggior numero di giocatori ha voglia di riscoprire le atmosfere del passato, rituffandosi in quei giochi che li hanno segnati nel profondo. In questo senso Grim Fandango, come abbiamo anche spiegato prima, è uno dei titoli più influenti di quel periodo: insomma se al posto della classica maschera da Allegro Ragazzo Morto al prossimo Halloween sceglierete una più inusuale maschera da “Manny” Calavera, sarete senza dubbio al centro della festa.

Il Calavera Café e il citazionismo
Ma perché, in ultima analisi, Grim Fandango è un gioco che, dopo il primo impatto è bello da giocatore anche in un secondo tempo? Perché è un gioco eterno, e si nutre di tutto quell’immaginario citazionista alla Play It Again, Sam di Woody Allen piuttosto che alla classicone Casablanca con  Humphrey Bogart. Calavera è infatti un protagonista sui generis, pieno di contraddizioni, alle volte meschino e pavido, altre volte caratterizzato da slanci di generosità ed eroismo. Insomma un personaggio “vero” e a tutto tondo, così diverso ai personaggi dei videogiochi del 1998 (ricordiamo la Lara Croft praticamente bambolona di plastica di Tomb Raider III) ma così simile a quelli attuali. Insomma non si può apprezzare il Nathan Drake della saga di Uncharted senza prima scolarsi un cocktail con Calavera: magari non vi chiederà un Martini “agitato non mescolato” ma una tequila sale e limone. Ma il fascino sarà lo stesso.

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