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L’Oscar a Rami Malek per Freddie Mercury, che fesseria

È tarda notte quando Rami Malek vince l’Oscar come miglior attore protagonista per la sua interpretazione di Freddie Mercury nell’acclamato quanto inconsistente Bohemian Rhapsody. A quell’ora sto dormendo, ma sento come una strana forza oscura che turba i miei sogni sereni, un incubo assurdo fatto di di dentiere oversize, baffi posticci, deeeee oooooooooh e giacche di pelle gialla. Un orrore in cui persone create al computer seguono una ributtante riproposizione di parte del concerto al Live Aid dei Queen, la stessa band che l’anno prima suonò a Sun City durante l’Apartheid  per soldi, facendo incazzare tutti i colleghi.

Nell’incubo, persone di ogni etnia, religione e classe sociale cantano al cinema, disturbandomi. Battono le mani, intonano “Oh mamma mia mamma mia mamma mia let me go”, si disperano quando Baffo si ammala ed escono dalla sala felici perché di limoni omosessuali se ne sono visti pochi. Mi sveglio presto, controllo il mio feed, Rami Malek ha davvero vinto l’Oscar e mi sento come il 5 marzo del 2018, il post elezioni politiche che sembrava scritto da Charlie Brooker di Black Mirror.

La prima cosa che mi salta in mente è: che fesseria. Rami Malek è un adulto di 37 anni, famoso per aver indossato il cappuccio e un’espressione sola nella serie tv Mr. Robot e poi poco altro, fino alla grande chiamata per interpretare il defunto cantante degli incredibilmente non defunti Queen nel biopic più famoso di tutti i tempi, dopo l’allontanamento dal progetto di Sacha Baron Cohen per contrasto di visione d’insieme con Brian May e Roger Taylor.

In una categoria che vedeva concorrere al titolo Christian Bale ingrassato in modo inumano per Vice, Bradley Cooper cantante (davvero) in A Star Is Born, Willem Dafoe splendido Van Gogh e Viggo Mortensen (forse non la sua miglior interpretazione, quella in Green Book, ma Viggo è Viggo e non si discute), l’ha spuntata proprio Rami Malek, che in Bohemian Rhapsody ha indossato dentiera e baffi finti, outfit da sezione costumi di carnevale di Amazon e ha mimato le canzoni dei Queen.

Parliamoci chiaro: Serena Rossi in Io sono Mia ha cantato, Luca Marinelli in Principe Libero pure, Claudio Santamaria in Ma il cielo è sempre più blu anche. L’hanno preso l’Oscar? No. L’ha preso forse Joaquin Phoenix, perfetto interprete/cantante di Johnny Cash in Walk the Line? No, solo la nomination. Ha forse preso l’Oscar Federico Angelucci che ha cantato We Are the Champions a Tale e Quale di Carlo Conti? Neanche per idea, eppure somigliava a Freddie più di Rami Malek.

Ecco, il metro di paragone stavolta non è con gli attori e neanche con Beppe Fiorello che allarga le braccia su RaiUno nella fiction su Modugno: è con gli imitatori. Ha vinto l’Oscar come miglior attore un imitatore in playback e il fatto che milioni di persone in tutto il mondo abbiano amato il film, non sposta di una virgola il giudizio. D’altra parte, milioni i persone hanno votato per l’attuale governo italiano, per Donald Trump negli Stati Uniti, hanno sfilato col braccio alzato durante le storiche dittature europee, hanno pianto quando Lady Gaga piange in tv (una media di 6 volte al giorno), hanno cantano almeno una volta nella vita una canzone dei Queen. Milioni di persone non leggono un libro da una vita e, prima di Bohemian Rhapsody, hanno evitato il cinema come la peste. Grazie all’Oscar pop(ulista), ora milioni di persone penseranno che imitare qualcuno sia il miglior modo di rendergli omaggio o, peggio, di svolgere il mestiere dell’attore.

Simone Stefanini

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