Lo diciamo subito: Michel Gondry è uno di quei talenti assoluti, capaci di creare storie e mondi che lasciano a bocca aperta, ma anche di far irritare per quanto quei mondi sono frutto di esercizi di stile e giochini mentali o creativi.
Per dire, nessuno può criticare l’idea e la realizzazione di un capolavoro come Eternal Sunshine of a Spotless Mind (inserire battuta indignata di rito sulla traduzione italiana Se mi lasci ti cancello). In pochi possono attaccare L’arte del sogno, film del 2006 che porta a compimento la sua poetica visiva fatta di scotch, cartone e fil di ferro. Già dal successivo Be Kind Rewind, invece, le cose iniziano a cambiare: idea bellissima quella dei cialtroni che rifanno il film usando scotch, cartone e fil di ferro, ma già si inizia a sentire qualcosa di ripetuto, di non necessario. È qui che Gondry inizia a perdersi, finendo per naufragare completamente con la sua pellicola hollywoodiana, quel The Green Hornet che in molti considerano tra i peggiori film di supereroi di sempre.
Una botta grossa per il francese che ha provato a confrontarsi con il cinema statunitense, una botta che Gondry ha provato a metabolizzare prima con un film piccolo e passato piuttosto inosservato (The We and the I, nuovamente prodotto in America, ma con tutt’altro tiro e ambizioni), poi con quello che al momento rappresenta l’abisso della sua filmografia.
Mood Indigo – La schiuma dei giorni, uscito nel 2013, è la summa di quanto possa essere irritante il cinema di Gondry: tutto quello che prima era invenzione (a cominciare da scotch, cartone e fil di ferro), qui diventa stucchevole esercizio senz’anima, rendendo così il film un prodotto autoriferito, incapace di coinvolgere lo spettatore. Una totale chiusura verso l’interno, che non poteva che essere esorcizzata con un punto di vista differente.
E qui arriviamo a Microbo e Gasolina, il film uscito la scorsa estate in Francia e in sala in Italia dal 5 maggio: è la storia di due ragazzini che progettano una fuga a bordo di una casa mobile. Casa che ovviamente è costruita come sempre con scotch, cartone e fil di ferro (perché ok le batoste, ma Gondry è capadura), ma questa volta l’impressione è che l’aspetto visivo e di invenzione non sia il centro unico del film, ma semplicemente una scelta espressiva, una modalità di racconto di un mondo. E per questo siamo davvero ottimisti, soprattutto dopo aver visto il trailer italiano: l’impressione è di essere dalle parti di un Super8 senza gli alieni, ma con ragazzini dotati della stessa capacità immaginifica e creativa.
A dieci anni da L’arte del sogno, insomma, forse abbiamo ritrovato Michel Gondry. Bentornato.
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