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di Gabriele Ferraresi 27 Aprile 2016

Il pellegrinaggio fotografico di Settimio Benedusi: a piedi da Imperia a Milano barattando foto

Il cammino di #SettimioDeCompostela è giunto al termine, e noi l’abbiamo intervistato

Settimio Benedusi è un fotografo professionista italiano, uno dei maggiori: ha scattato praticamente chiunque, lavorato al leggendario calendario di Sports Illustrated e pubblicato le sue foto dappertutto. Ha anche un blog, che se volete lavorare con la fotografia o vi piace leggere uno che conosce bene ciò di cui parla, vale la pena di seguire. Nato a Imperia, Settimio vive dagli anni ottanta a Milano, dove ha costruito la sua carriera. E fin qui, tutto bene.

Un paio di settimane fa Settimio ha voluto rifare il percorso da Imperia a Milano, in una maniera un po’ diversa dal passato: l’ha fatto a piedi.

Non solo: durante i dodici giorni di viaggio, ha barattato le sue fotografie (una trentina in totale) con quello che gli serviva per vivere. Sì, scambiando la cosa che sa fare meglio al mondo con un letto in cui dormire, oppure con un pranzo, una cena, una merenda, con quello che gli serviva. E ha funzionato alla grande.

 

 

Benedusi ha raccontato la sua impresa su Facebook – cercate l’hashtag #SettimioDeCompostela per rivivere il suo cammino di circa 300 km dalla Liguria alla Lombardia – e noi lo abbiamo contattato per farci raccontare il suo viaggio

Intanto complimenti: missione compiuta!
Assolutamente sì, ed è stato tutto vero, come l’ho raccontato. Sono partito il primo giorno allo sbaraglio, avevo due bottiglie d’acqua e nient’altro, niente da mangiare. Mi ero portato dietro una Leica Q e un iPhone, tutto qui.

Settimio: perché l’hai fatto?
Le motivazioni per cui l’ho fatto sono varie: una è quella di tornare nella città dove ho trovato in qualche maniera fortuna con il mio lavoro. Facendo il viaggio che trent’anni fa ho fatto in treno, ma facendolo in una maniera più faticosa, a piedi. E poi in qualche maniera volevo riconquistarmi Milano. Ma la motivazione più profonda, più vera, è quella di capire nei riguardi di quella che è la mia professione, quanto la fotografia possa avere ancora un valore.

 

 

Capire se la fotografia può dare da mangiare
Esatto. In un momento in cui non si sa bene quanto la gente voglia tirar fuori soldi per la fotografia, e la fotografia viene scambiata per un like su Facebook, volevo vedere se ha o può avere un valore addirittura di sopravvivenza.

Come reagiva la gente che incontravi lungo il cammino?
Ogni volta che mi fermavo in un posto all’inizio c’era un po’ di diffidenza: anche in quelli bendisposti… ma la cosa incredibile, incredibile, è che dopo un giorno, se dormivo lì, o un’ora se mangiavo lì, si scatenava un ambaradan di emozioni, di commozioni, incredibile. Non solo dove stavo a dormire, per cui rimanevo di più… mi presentavano i parenti, i figli, il cane… era una roba, che ci ritrovavamo alla fine come se ci fossimo conosciuti da cent’anni.

 

 

Qual è la cosa più importante che hai imparato da questa impresa?
Alle persone che vedevo bendisposte, facevo un discorso abbastanza lungo e “complesso”, e se avevano dei dubbi, quel discorso li faceva capitolare. Gli raccontavo che una volta qualsiasi città, ma anche qualsiasi paesino aveva il fotografo del paese, che fotografava le persone: e non è detto che fosse un artista, era un professionista, uno che sapeva fare il suo lavoro bene. Del resto nessuno chiede allo stagnino di essere un artista, gli si chiede di essere un professionista, uno che sa fare bene il suo lavoro. Il fotografo di paese faceva le fotografie, le stampava, ed era un servizio sociale, tra l’altro proprio della fotografia: nel senso che prima dell’invenzione della fotografia la possibilità di avere una propria autonomia iconografica era limitata a una fascia limitatissima di persone, ai ricchi che potevano permettersi il pittore. Quando è stata inventata la fotografia questa cosa è diventata democratica e anche i contadini potevano avere la loro fotografia. Questo succedeva ed era una cosa meravigliosa, io dicevo a tutti “Se apri i cassetti, da qualche parte troverai le foto del tuo nonno, del tuo bisnonno, fotografati dal fotografo del paese” perché una volta era normale questa cosa. Adesso c’è un’involuzione. Tutti fanno le foto col cellulare, e va bene, non critico questa cosa, va benissimo questa democratizzazione della fotografia. Quello che critico è che non c’è più la tradizione di andare dal professionista a farsi fare una bella fotografia.

 

 

Molto vero: oggi abbiamo migliaia di foto, ma non ce n’è una davvero bella
Sì, tutte foto a cazzo! Il fotografo viene visto o come “niente”, o come un artista. No: è un professionista, perché anche pulire vetri un professionista delle pulizie lo sa fare meglio di me e di te. Ma soprattutto una volta una foto veniva stampata. E rimaneva. Le foto di tuo nonno se le cerchi da qualche parte ce le hai. Il problema doppio di fare le foto tutti col cellulare, è che sono fatte a cazzo, ma soprattutto che sono su di un supporto che prima o poi sparirà. A tutti dicevo: “Prima dell’iPhone avevi il Nokia, e la foto che erano sul Nokia adesso dove sono? Prima di avere Facebook avevi MySpace, e dove sono le foto di MySpace adesso? Io sono qua non a proporti una mia fotografia, che lascia il tempo che trova. Sono qua a proporti di realizzare una fotografia a qualcosa a cui tieni, che rimarrà qualcosa di epocale. La faccio bene, perché sono un professionista, te la stampo bene, se vuoi te la mando via mail“.

 

 

C’è una foto di #SettimioDaCompostela che ti ha emozionato particolarmente?
C’è stato il caso più emozionante, di questi due fratelli, dove ho dormito, in un bed & breakfast. Che mi hanno fatto fotografare i loro anziani genitori novantenni, sposati da sessant’anni: la volta precedente che erano andati da un fotografo a farsi fare una foto bella era stata al matrimonio. Io ho fatto questa foto, di questi due novantenni mano nella mano che sorridono in macchina… è stata una cosa epocale.

Che cosa ti ha insegnato il tuo cammino?
Mi ha insegnato che la fotografia se usata bene è una cosa importante e seria. Era la conferma che volevo avere.

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