Geek
di Mattia Nesto 19 Ottobre 2021

Death Stranding, viaggio a Oriente

Death Stranding: Director’s Cut conferma la centralità del titolo di Hideo Kojima nel medium. Non priva di difetti, rimane l’opera magna della nostra contemporaneità videoludica.

Quando grazie a Sony Playstation ho potuto approcciarmi alla Death Stranding: Director’s Cut ero davvero curioso. Già perché, al netto dei difetti del titolo “originale” di Hideo Kojima, Death Stranding è stata, senza alcuna ombra di dubbio, una delle opere più importanti sul fronte videoludico (e non) degli ultimi anni, non foss’altro per la sua capacità di anticipare temi, intonazioni e atmosfere del periodo di reclusione forzata, diciamo così, che tutti quanti abbiamo dovuto attraversare da marzo 2020.

Questa Director’s Cut aggiungeva, soprattutto, numerose feautures in più al gameplay che, a conti fatti, è stata, almeno a titolo personale, la cosa che più ho apprezzato del gioco, al netto delle boss-fight, tremendamente deficitarie da questo punto di vista. Ecco il gameplay di DSDC è, semplicemente, migliorato in maniera esponenziale, donando al giocatore un’esperienza migliore, sotto tutti i punti di vista, rispetto a quella su PS4.

Infatti questa versione PS5, al di là di azzerare i caricamenti (davvero molto impattanti nella versione base), sfruttando l’hardware della nuova console, “pompa” DS in maniera tale da farlo girare a 60 fotogrammi al secondo. Non vi dico la gioia di fare le consegne così: esattamente come la versione pc, con qualche, ovvio, compromesso in più, questa nuova versione console regala al giocatore semplicemente la migliore esperienza possibile nel mondo di Death Stranding, ma non solo. Lo voglio ribadire qui e ora: per il mio gusto, e lo sottolineo, per il mio personale gusto al netto delle molteplici pecche, Death Stranding è forse il titolo più rappresentativo di un nuovo modo di intendere, creare e sviluppare un videogioco. E la Director’s Cut porta tutto ciò all’ennesima potenza grazie all’hardware di PlayStation 5 e al, sublime, audio 3D.

Occhio Sam, sta arrivando qualcuno. O qualcosa.  Occhio Sam, sta arrivando qualcuno. O qualcosa.

Anche a livello di texture c’è stato un lavoro molto interessante e dal punto di vista delle aggiunte in termini di equipaggiamenti le novità non si sono fatte attendere. La più apprezzata è stato il cosiddetto Buddy Bot, l’automa che una volta sbloccato permetterà di avere un paio di gambe in più per le proprie consegne. Se infatti nella versione su PS4 queste consegne automatizzate erano totalmente fallaci (riportando percentuali di completamento e di danni al carico semplicemente ridicole) qui il Buddy Bot è abbastanza “furbo” da non sfracellarsi al suolo o cadere in crepaccio a ogni piè sospinto. Anche la tanto criticata catapulta (che ricordiamo non lancio il giocatore ma i pacchi, che debbono essere poi recuperati) riesce a inserirsi in maniera abbastanza naturale nell’economia di gioco. Meno felici, sono invece le sessioni dedicate al racing-game, non tanto perché sbagliate da inserire una tipologia di mini-game così, quanto perché il sistema di guida di DS non è, per usare un eufemismo, perfetto e giocare a un gioco di corse.

Ah, le consegne in mezzo alle montagne, croce e delizia dei giocatori: eppure che spettacolo su PS5!  Ah, le consegne in mezzo alle montagne, croce e delizia dei giocatori: eppure che spettacolo su PS5!

Seppur perplesso sull’utilizzo pigro del Dual Sense (che bello sarebbe stato avere dei grilletti adattivi che, a seconda del carico, sarebbero stati più “facili” o difficili da premere), Death Stranding: Director’s Cut  inserisce tutta una serie di novità che migliorano in modo esponenziale la “quality of life” del giocatore che, ancora una volta, rimarrà rapito dal sublime fascino di quest’opera totale-tombale di Hideo Kojima. Un viaggio a Oriente per collegare un continente sfibrato: se non lo avete ancora fatto il mio consiglio è di mettervi in cammino seguendo la linea del pallido sole.

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