Sono trascorsi trentatré anni dalla strage di via D’Amelio, un evento che ha lasciato una ferita profonda nella memoria collettiva italiana. In quel tragico attentato, la mafia colpì con brutalità il magistrato Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, segnando un capitolo drammatico nella lotta allo Stato e alla legalità.
La strage di via D’Amelio: un colpo alla democrazia
Il 19 luglio 1992, pochi mesi dopo l’attentato di Capaci che aveva ucciso Giovanni Falcone, un altro durissimo colpo veniva inferto al sistema giudiziario e alle istituzioni democratiche italiane. La bomba esplosa in via D’Amelio a Palermo causò la morte di Paolo Borsellino e dei cinque uomini della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Un attacco volto a intimidire lo Stato e a diffondere paura, ma che, al contrario, rafforzò la determinazione delle istituzioni e della società civile nel contrasto alla criminalità organizzata.
La mafia aveva tentato con violenza di piegare la democrazia, ma la risposta dello Stato si è dimostrata più forte. Nel corso degli anni, gli esecutori materiali e i mandanti della strage sono stati individuati, processati e condannati, a testimonianza del funzionamento della giustizia italiana nonostante le difficoltà e le minacce. In occasione dell’anniversario, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha espresso parole di profonda commozione e riconoscenza. Ha ricordato con forza il valore di chi con coraggio e dedizione ha lottato contro il “cancro mafioso”, difendendo la libertà e la legalità in un momento di grande difficoltà per il Paese.
“Il senso di riconoscenza verso quei servitori dello Stato che, con dedizione e sacrificio, hanno combattuto la mafia è imperituro”, ha sottolineato Mattarella. Le vite spezzate di Borsellino e dei suoi agenti rappresentano un monito e un esempio per tutti. La loro testimonianza è simbolo della dedizione dei magistrati alla causa della giustizia, un impegno che continua a ispirare le nuove generazioni.

Il capo dello Stato ha inoltre ricordato come Paolo Borsellino non si fosse mai fermato, nemmeno dopo la strage di Capaci. Anzi, aveva proseguito con determinazione il suo lavoro, consapevole del pericolo ma guidato da un senso di dovere e responsabilità verso la società italiana. “Onorare la sua memoria significa seguire la sua lezione di dignità e legalità e fare in modo che il suo messaggio raggiunga i giovani”, ha concluso. Oggi, a trentatré anni di distanza, la figura di Paolo Borsellino resta un punto di riferimento imprescindibile nella battaglia contro la criminalità organizzata. Il suo esempio ha contribuito a rafforzare le istituzioni e a diffondere una cultura della legalità che continua a permeare molti settori della società italiana.
Le celebrazioni e le iniziative commemorative in tutta Italia, e in particolare a Palermo, testimoniano come la memoria di quelle vittime non si affievolisca nel tempo, ma anzi alimenti la volontà di contrastare ogni forma di illegalità e di violenza. Il sacrificio di Borsellino e della sua scorta ha segnato un momento di svolta, una pietra miliare nella storia della Repubblica italiana, che continua a ricordare con rispetto e gratitudine chi ha dato la vita per la giustizia e la libertà.