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Home Politica

Referendum, cosa cambia se vince il "Sì" per i 4 quesiti sul lavoro: il ritorno al pre-Jobs Act

by Mattia Senese
06/06/2025
in Politica
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Referendum 8 e 9 giugno: cosa succede se vince il "Sì" per i 4 quesiti sul lavoro - Dailybest.it

Cosa cambia con la vittoria del “Si” al Referendum dell’8 e 9 giugno? Quali sarebbero le conseguenze per il mondo del lavoro.

Domenica 8 e lunedì 9 giugno si svolgeranno cinque referendum abrogativi in Italia, di cui quattro riguardano le politiche sul lavoro. La partecipazione al voto è cruciale: affinché il referendum sia valido, è necessario che si esprima almeno la metà degli aventi diritto, ovvero circa 25 milioni di cittadini.

I quesiti sono di facile comprensione, ma le conseguenze delle loro approvazioni sono complesse e meritano un’analisi approfondita. L’eventuale vittoria del “Sì” porterebbe a significativi cambiamenti nelle attuali norme sul lavoro, in particolare al potenziale ritorno a regolamentazioni precedenti al Jobs Act, una riforma del lavoro introdotta nel 2015 dal governo Renzi.

Referendum, cosa succede per i 4 quesiti sul lavoro

Il primo quesito, presentato sulla scheda verde, propone di abrogare il decreto legislativo 23 del 4 marzo 2015, che ha modificato le tutele per i lavoratori in caso di licenziamento. Se il “Sì” dovesse prevalere, non si tornerebbe al testo originale dello Statuto dei Lavoratori del 1970, ma piuttosto a una versione modificata nel 2012 dalla legge Fornero. Questa legge ha introdotto una distinzione tra diversi tipi di licenziamento, stabilendo che solo in casi di licenziamento manifestamente illegittimo il lavoratore potesse essere reintegrato. In altre circostanze, il risarcimento spettante variava tra 12 e 24 mensilità, a seconda dei casi.

Con l’approvazione del referendum, ci sarebbe un ampliamento dei casi in cui i lavoratori licenziati avrebbero diritto al reintegro, inclusi i licenziamenti collettivi, che oggi non prevedono questa possibilità. Tuttavia, la vittoria del “Sì” potrebbe comportare un arretramento in termini di protezione per alcune categorie di lavoratori. Ad esempio, il limite massimo degli indennizzi tornerebbe a 24 mensilità, mentre il minimo aumenterebbe da 6 a 12 mensilità. Questo è un aspetto degno di nota, poiché la maggior parte dei licenziamenti ingiustificati si risolve attraverso un indennizzo piuttosto che un reintegro.

Inoltre, la legge attuale prevede anche il reintegro per i lavoratori licenziati ingiustamente a causa di disabilità psicofisiche, una tutela che verrebbe ridotta dal referendum. Anche le organizzazioni di tendenza, come partiti e sindacati, perderebbero la protezione attuale, creando un panorama più difficile per i lavoratori in queste situazioni.

Il secondo quesito, sulla scheda arancione, si propone di rimuovere i limiti massimi di indennizzo per i lavoratori delle piccole aziende, quelle con meno di 15 dipendenti. Attualmente, un lavoratore ingiustamente licenziato in queste aziende ha diritto a un massimo di 6 mensilità, cifra che aumenta in base all’anzianità. Se il referendum fosse approvato, il giudice sarebbe libero di decidere l’importo dell’indennizzo in base al singolo caso, senza limiti prefissati. Questo cambiamento potrebbe favorire una maggiore equità nelle decisioni giudiziarie, ma solleva interrogativi sulla sostenibilità economica per le piccole imprese, che potrebbero trovarsi a fronteggiare risarcimenti molto elevati in caso di contenzioso.

Elezioni voto
Cosa succede in caso di vittoria del “Sì” al Referendum dell’8 e 9 giugno – Dailybest.it

Il terzo quesito, sulla scheda grigia, chiede di abrogare la norma che consente ai datori di lavoro di assumere a tempo determinato senza specificarne la causale per i primi dodici mesi. Se il “Sì” vincesse, i datori di lavoro sarebbero obbligati a giustificare fin dall’inizio la scelta di un contratto temporaneo. Questa modifica mira a limitare l’abuso di contratti precari, che spesso non riflettono reali esigenze temporanee. Tuttavia, i rappresentanti delle imprese avvertono che l’obbligo di fornire una giustificazione potrebbe complicare la gestione del personale, rendendo più difficile coprire esigenze temporanee come malattie o picchi di lavoro.

Il quarto quesito, presentato sulla scheda rossa, riguarda la corresponsabilità solidale tra imprese committenti e appaltatrici in caso di incidenti sul lavoro. La legge attuale permette ai committenti di liberarsi da responsabilità se l’incidente è causato da rischi specifici dell’attività dell’appaltatore. Se il referendum venisse approvato, questa eccezione verrebbe eliminata. Ciò significherebbe che i committenti sarebbero sempre responsabili per gli infortuni, aumentando così la loro responsabilità legale. Proprio per questa ragione, la CGIL e altri sostenitori del referendum sostengono che questa modifica potrebbe migliorare la sicurezza nei luoghi di lavoro, spingendo le imprese a scegliere appaltatori più affidabili e attenti alla sicurezza, riducendo così il numero di incidenti.

Il dibattito attorno a questi quesiti è acceso e polarizzato. Da una parte, i sostenitori del “Sì” vedono nelle modifiche un’opportunità per ripristinare diritti storici dei lavoratori e migliorare le condizioni di lavoro. Dall’altra, i critici avvertono che tali cambiamenti potrebbero portare a una maggiore incertezza per le imprese, con il rischio di un incremento del precariato e di una diminuzione delle assunzioni a tempo indeterminato. La questione rimane aperta, e il voto di giugno rappresenterà un momento cruciale per il futuro del lavoro in Italia, con implicazioni significative sulle politiche occupazionali e la sicurezza dei lavoratori.

Mattia Senese

Mattia Senese

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