Nel nuovo anno scolastico, emergono dati preoccupanti riguardo la condizione economica e lavorativa degli insegnanti italiani rispetto ai colleghi europei.
Secondo l’ultimo rapporto “Education at a glance” pubblicato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), i docenti italiani continuano a percepire stipendi significativamente inferiori rispetto alla media degli altri Paesi europei, pur lavorando un numero di ore annue superiore.
Retribuzioni degli insegnanti italiani: un confronto impietoso
L’Italia si conferma tra i Paesi con le retribuzioni più basse per gli insegnanti, in particolare per quelli della scuola primaria e secondaria. Nel 2024, il potere d’acquisto degli stipendi dei docenti di scuola primaria è diminuito del 4,4% a causa dell’inflazione. Mettendo a confronto i dati con quelli di nazioni come Germania, Francia e Spagna, l’Italia risulta quella che destina meno risorse economiche ai propri insegnanti. Il rapporto OCSE evidenzia che lo stipendio medio annuo per un insegnante di scuola superiore in Italia è di 56.021 dollari, contro una media OCSE di 73.000 dollari e oltre 100.000 dollari in Germania.
Per la scuola media, lo stipendio italiano si attesta a 52.642 dollari, mentre la media OCSE è di 70.578 dollari. Questi dati, calcolati a parità di potere d’acquisto e convertiti in dollari per uniformare il confronto, sottolineano come il nostro Paese attribuisca un valore economico molto inferiore alla professione docente rispetto agli altri Stati. Inoltre, gli stipendi degli insegnanti italiani sono inferiori del 33% rispetto alla media dei lavoratori con titolo di studio terziario, mentre la forbice nell’OCSE si ferma al 17%.
Questo squilibrio rende evidente la scarsa valorizzazione economica del ruolo educativo nel nostro sistema scolastico. Un elemento che contribuisce a questa situazione è il limitato investimento pubblico nell’istruzione: la spesa italiana per l’istruzione è pari al 3,9% del PIL, mentre la media OCSE si attesta al 4,7%. La voce personale rappresenta la fetta più consistente di questa spesa, e un aumento significativo degli stipendi comporterebbe oneri finanziari rilevanti per lo Stato.
Il rapporto OCSE sottolinea che un migliore riconoscimento economico potrebbe attrarre più giovani verso la carriera dell’insegnamento e migliorare la qualità dell’istruzione, ma tale cambiamento richiede risorse consistenti e una strategia a lungo termine. Nel contesto italiano, questa tematica è al centro del dibattito sindacale e governativo per il rinnovo del contratto collettivo nazionale della scuola per il triennio 2022-2024. La trattativa è resa complessa dall’inflazione che ha raggiunto il 17%, mentre le risorse stanziate ammontano a 3 miliardi di euro, sufficienti a un aumento medio del 6%, equivalente a circa 150 euro lordi al mese.

Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha inoltre promesso un fondo straordinario da 240 milioni per erogare un premio una tantum da 145 euro, tentando di superare le resistenze di sindacati come Cgil e Uil, contrari all’accordo per l’entità degli aumenti. La prossima riunione per il rinnovo contrattuale è fissata per il 24 settembre. Oltre alla questione salariale, i dati OCSE consentono di fare chiarezza su alcuni stereotipi riguardo il lavoro degli insegnanti italiani, in particolare sulle presunte lunghe vacanze estive e sul numero ridotto di ore di lezione frontale settimanali.
Se è vero che le vacanze estive sono più lunghe rispetto ad altri Paesi, gli insegnanti italiani accumulano un numero di ore annue di lezione superiore alla media OCSE: nella scuola primaria si attestano a 917 ore contro le 804 dell’OCSE, e nella scuola secondaria di secondo grado arrivano a 990 ore, mentre la media OCSE è di 909. Questo evidenzia un impegno lavorativo complessivamente elevato, che non si riflette però nella retribuzione.
Questi dati rivelano quindi un quadro complesso e critico, che vede gli insegnanti italiani sottopagati e al contempo impegnati più a lungo rispetto alla media europea, in un sistema che stenta a riconoscere economicamente la loro professionalità e il valore fondamentale del loro ruolo educativo.