Society
di Gabriele Ferraresi 12 Gennaio 2016

È vero che la birra Peroni diventa giapponese?

Fondata a Vigevano nel 1846, la Peroni potrebbe bersela Asahi.

Il gruppo Asahi sta per formalizzare l'offerta e acquisire la Birra Peroni  Il gruppo Asahi sta per formalizzare l’offerta e acquisire la Birra Peroni

 

Ma davvero la birra Peroni diventa giapponese? Pare proprio di sì, anche se i dettagli dell’operazione sono in parte da definire. Certo è che l’offerta fatta da Asahi a SabMiller – colosso birrario globale, che detiene il brand italiano – per portarsi a casa sia Peroni che l’olandese Grolsch è golosa, va giù bene, e ammonta a 3,4 miliardi di dollari. Alla fine è probabile che l’azienda fondata da Francesco Peroni in quel di Vigevano nel 1846 finisca nel paese del Sol Levante. Non che prima fosse a Vigevano: visto che Peroni è di SabMiller, gruppo nato in Sud Africa, ma con sede a Londra.

È un periodo di grande movimento nell’industria birraria globale, un po’ come in molti altri settori industriali infatti la tendenza è quella delle megafusioni. E la megafusione nel mondo birrario è senza dubbio quella tra i colossi Anheuser-Busch InBev e SabMiller: quest’ultimo proprietario, tra decine di marchi, anche della “nostra” Peroni. Una volta completata la fusione tra i due giganti del luppolo – un’operazione partita da Anheuser-Busch InBev, che per portarsi a casa SabMiller ha offerto 105 miliardi di dollari – è probabile che alcuni dei brand “minori” di SabMiller finiscano sul mercato, per evitare di far arrabbiare gli organi dell’antitrust europeo.

Antitrust che probabilmente sarebbe piuttosto indisposto nel vedere che una sola azienda tiene sotto di sé praticamente tutte le birre del mondo. Forse quando capita di berci una birra non ci pensiamo più di tanto, ma anche in quel mondo ci sono degli imperi, dei giganti che dominano la distribuzione planetaria: Anheuser-Busch InBev una volta conclusa l’acquisizione di SabMiller, sarà il maggiore, avrà praticamente tutto. Un po’ dei suoi marchi? Ci saranno Budweiser, Beck’s, Kirin, Stella Artois, Hoegaarden, Leffe, Coors, Dreher, Foster’s, tutti riuniti, e decine e decine di altre birre che funzionano bene su mercati locali, ma non hanno portata globale.

Chi rimane fuori da questo giro? Heineken International – che ricordiamocelo: non è solo Heineken, possiede anche i marchi Moretti e Amstel, giusto per dirne un paio – Carlsberg Group, colosso che da Copenhagen è diffuso in tutto il mondo, oltre che con la classica Carlsberg, con birre come Tuborg, Kronenbourg, o Mythos – se siete stati in Grecia l’avrete bevuta di sicuro – e altri gruppi “relativamente” minori, come quello che produce la birra del Celeste Impero Tsingtao, decisamente popolare lontano dalle nostre latitudini, ma anche nei ristoranti cinesi di tutta Italia.

E Peroni? Peroni tutto sommato è “piccola”, almeno rispetto ai giganti che abbiamo passato in rassegna qui sopra, e funziona bene sia sul mercato interno, in Italia, che all’estero: dei 4,8 milioni di ettolitri che produce ogni anno 1,3 milioni finiscono sui mercati esteri.

 

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