Profondo Rosso raccontato da Dario Argento

Dario Argento presenta il film Profondo Rosso nella versione originale restaurata a 42 anni dalla sua uscita e racconta un po’ di curiosità

ARGENTO DARIO

Il grandissimo Dario Argento, genio nel bene come nel male, capace di film da cineteca mondiale come L’uccello dalle Piume di CristalloSuspiria e di alcuni episodi imbarazzanti (basti pensare all’ultimo Dracula 3D), da sempre divide pubblico e critica. Anche una delle sue ultime incursioni nella regia teatrale, “Lucia di Lammermoor” di Doninzetti, piena di trovate sceniche grand guignolesche come il sangue, le urla, il fantasma nudo, l’omicidio mostrato, ha avuto un’accoglienza ottima dagli amanti del genere ma anche qualche inevitabile fischio da parte dei puristi. In questi giorni è a Pisa per portare in scena la “Macbeth” di Verdi e ha colto l’occasione per presentare al pubblico la copia restaurata dalla Cineteca Nazionale di Roma del suo capolavoro Profondo Rosso a 40 anni esatti dalla sua uscita. Piuttosto loquace, ha risposto alle domande di Federico Caddeo e del pubblico del Cinema Arsenale.

“Dopo il successo della trilogia “L’Uccello dalle Piume di Cristallo” (1970), “Il gatto a Nove Code” (1971) e “Quattro Mosche di Velluto Grigio” (1971), un po’ di registi mi avevano rubato l’idea dei titoli composti coi nomi degli animali. Volendo rinnovarmi, ho deciso di fare un film più strano. Avevo una casetta in campagna, disabitata, fuori Roma. Andai lì, scrissi il film in solitudine assoluta, una condizione che amo moltissimo. Siccome non c’era la luce, scrivevo di mattina e di pomeriggio, poi alle prime ombre della note me ne andavo, anche perché dopo tutto il giorno di pensieri spaventosi, non avrei voluto rimanere al buio da solo. Spinto dal fatto che dovevo andarmene via, ho l’ho scritto in 3 settimane, cosa mai accaduta prima, e rileggendolo l’ho trovato molto interessante. Il titolo mi è venuto dopo e l’ho difeso contro tutti che mi dicevano che non voleva dire nulla, che in italiano sarebbe stato più corretto Rosso Profondo, come traduzione di Deep Red.

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Ho voluto l’attore David Hemmings dopo averlo visto protagonista in “Blow Up” di Antonioni, che è uno dei miei idoli di sempre. Quando incontrai David però, era visibilmente ingrassato. Lo guardai molto perplesso e se ne accorse, ma mi promise che in un paio di settimane sarebbe ritornato in forma, cosa che accadde. Per il ruolo della madre di Carlo, invece, decisi di prendere un’attrice che venisse dal cinema anni trenta e ne incontrai un po’. Mi ricordo con dispiacere di una di loro che viveva nella rimessa della propria villa e non ci stava più con la testa. Clara Calamai, che scelsi per il film, invece fu stupenda. È suo il primo seno nudo nella storia del cinema italiano.

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La  villa del bambino urlante in realtà è Villa Scott, in corso Lanza a Torino. Io e il mio sceneggiatore stavamo girando in macchina per trovare una location adatta quando la vedemmo. Liberty, neobarocca. La appuntammo mentalmente e ci ritornammo immediatamente. Era abitata dalle suore e da ragazze con problemi. Offrimmo a tutte una vacanza a Rimini di due settimane e girammo. Adesso è meta di fan che la fotografano giorno e notte, che suonano il campanello. I proprietari di oggi mi sa che la venderanno presto, chiamano sempre la polizia per far sgombrare gli ammiratori.

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La locandina originale del film, ispirata a “La donna che visse due volte” di Hitchcock

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L’espediente di Profondo Rosso è lo stesso de L’Uccello dalle Piume di Cristallo: gli inganni della memoria. Porto lo spettatore a fidarsi di me, e lo instrado in un percorso sbagliato, dandogli però degli indizi, anche subliminali, grazie ai quali possa capire chi è l’assassino.

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Per la musica, all’inizio, volevo assolutamente i Pink Floyd. Andai a trovarli in studio mentre incidevano The Wall e li pregai quasi, dicendo che avrebbero fatto presto, ma loro sarebbero stati impegnati per il prossimo anno e mezzo col disco, il film ed il tour, allora invece di sostituirli con un altra band famosa a livello internazionale, decisi anche lì di sconvolgere tutto e detti fiducia a questo gruppo di ragazzi giovani usciti dal conservatorio, i Goblin, che hanno ripagato questa opportunità scrivendo una colonna sonora che si è piazzata prima in classifica e che è diventata famosa in tutto il mondo. Con loro poi ho fatto anche Sospirai e con Claudio Simonetti ho continuato a lavorare anche in seguito.

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Le mani dell’assassino sono le mie. C’è una scena particolare nella quale prendo per la gola l’attrice Giuliana Calandra e le metto la testa entro una vasca di acqua molto calda. Sulle prime la vedevo dibattersi in modo perfettamente credibile e pensavo tra me e me “guarda com’è brava”, dopo un po’ mi sono reso conto che la stavo per affogare davvero. A fine ripresa ha tirato fuori la testa e dopo aver vomitato acqua mi ha detto “che questa sia buona perché non la farò mai più”

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L’accoglienza fu buona da subito, il cinema alla prima era già pieno, moltissimi giovani che poi mi hanno sempre accompagnato nella carriera. Ad ogni film che faccio ci sono sempre facce nuove e sempre più giovani tra il pubblico, quindi probabilmente al prossimo lungometraggio non ci sarete voi ma i vostri fratelli minori. Questo mi gratifica enormemente e sono molto felice di vedere oggi in platea, gente che 40 anni fa nemmeno era nata.”

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Dario Argento ha risposto anche ad alcune domande del pubblico sul rapporto con sua figlia Asia (“È un privilegio poter lavorare con una figlia che è anche attrice, approfondisce il legame”) e con sua figlia Fiore “(Phenomena è quasi autobiografico, parla della figlia di un regista famoso che studia in una scuola privata all’estero, quindi in sostanza parla di mia figlia Fiore all’epoca”), dei suoi colleghi e miti (“Ho conosciuto Hitchcock in un ristorante, grazie a mio padre che faceva il produttore di film. Ho collaborato con Romero in un momento della sua carriera in cui aveva bisogno di rilanciarsi e adesso siamo molto amici, così come ho stretto un forte rapporto con John Carpenter“) poi dice di non aver ancora in testa il prossimo film. Parla del suo rapporto con le donne (“Da piccolo stavo nello studio di mia madre [Elda Luxardo], che era una fotografa di moda e vedevo tutte le più grandi attrici che si cambiavano di fronte a me, pensando che non ci facessi caso, mentre mi provocavano emozioni incredibili. Da lì, in quasi tutti i miei film la protagonista è una donna.” Infine parla delle sue paure (“Sono intime, non legate a cose locali, come la crisi o che so io. Ecco perché i miei film sono internazionali, perché non parlo mai dell’Italia. E le paure più intime e personali sono uguali in tutto il mondo”)

Profondo Rosso, visto 40 anni dopo, è ancora rivoluzionario. Elementi della commedia all’italiana mischiati con lo splatter, l’horror, il giallo, la telecamera a mano che simula gli occhi dell’assassino, le mani e gli omicidi in soggettiva, i temi diventati poi cliché dei film di genere: i macabri disegni infantili, la cantilena dei bambini durante le scene di omicidio, la scuola e la villa che diventano teatro di efferatezze, l’innocenza traumatizzata, le scene notturne di una Torino lugubre e magica, i siparietti strampalati e deliziosi di Daria Nicolodi (madre di Asia Argento). Un film per il quale possiamo ancora oggi usare la parola capolavoro.

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