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di Mattia Nesto 1 Marzo 2022

Il nodo: non bisogna chiudere in una scatola la poesia

Ambra Angiolini e Arianna Scommegna ne Il Nodo ci consegna il ritratto di due istituzioni alla deriva ma ancora centrali: la famiglia e la scuola. E pure la poesia.

Il tema dello scandalo  Il tema dello scandalo

Il nodo lo spettacolo di Ambra Angiolini e Arianna Scommegna tratto dall’opera originale di Johnna Adams per la traduzione di Vincenzo Manna e Edward Fortes  per la regia Serena Sinigaglia è una di quelle cose che ti agitano nella notte, che ti vengono a cercare quando torni a casa dal teatro, che non ti lasciano stare, il giorno dopo e quello dopo ancora e quello ancora successivo, in ufficio. Perché la storia di queste due donne, una madre e un’insegnante, una professoressa e una nubile, un’amante della poesia medioevale e un’amante dei gatti è anche la nostra storia. Uno spettacolo che ci mette davanti al dolore, un dolore talmente incidibile che quasi non si può dire, come la poesia più autentica e più segretanon solo la morte di un figlio ma il suo suicidio.

Il dialogo tra queste due donne ruota attorno alla domanda capitale: di chi è la colpa se i nostri figli si trasformano in vittime o carnefici? Perché il punto nodale, perdonate il gioco di parole, di tutto è proprio questo: come si fa non lasciare da sole e soli le nostre figlie e figli se sono loro stesse e stessi a reclamare il loro piccolo grammo di libertà. Crescere significa assumersi le proprie responsabilità giusto? Ce lo hanno insegnato i libri che leggiamo, i film che guardiamo e gli spettacoli a cui assistiamo. Eppure ne Il nodo, due persone tutto sommato istruite, come la mamma professoressa interpretata da Ambra Angiolini  e l’insegnante nubile impersonata da Arianna Scommegna non sono state in grado di fare nulla per impedire il folle gesto. Anzi, in un certo qual modo, ne sono proprio responsabili.

Il nodo gordiano  Il nodo gordiano

Questo spettacolo racconto, giustappunto, di un nodo, del nodo di Gordio, il nodo primigenio. Come si fa per slegare quell’enigmatica matassa. Se lo è chiesto perfino Alessandro Magno, in fondo: tagliare di netto oppure tentare di scioglierlo con perizia. Le protagoniste del nodo non danno risposta, non fanno nulla e così (non) facendo avallano la tragedia. Eppure Angiolini, che finirà in lacrime, come mezza sala grande del Teatro Parenti di Milano (sala per altro piena in ogni ordine di posto), lo spettacolo in fondo lo dice all’insegnante: “Lei è la responsabile di questa classe, questa classe è una scatola e gli alunni sono delle scatole un po’ più piccole. Evidentemente, per mio figlio, quella scatola era troppo piccola“. Il figlio infatti, a causa di un tema molto sui generis, in cui, con evidente verve poetica, si descrivono atti incidibili tra insegnanti e scolari, molto violenti, viene sospeso, andando a causare la spirale autodistruttiva. Un episodio di bullismo, che molti di noi conosco bene, fin troppo bene, magari sulla propria stessa pelle.

Gidion, un ragazzino delle scuole medie, è tornato a casa pieno di lividi ed è stato sospeso. Vittima di bullismo o molestatore?  Gidion, un ragazzino delle scuole medie, è tornato a casa pieno di lividi ed è stato sospeso. Vittima di bullismo o molestatore?

Eppure sarà, questa volta, l’insegnante, mentre la madre straziata racconta il modo in cui il figlio si è sparato, a commentare, quando verrà a sapere la meticolosità con il quale ha effettuato il gesto, “che bello”. Una frase del genere, in qualsiasi altro contesto, sarebbe sembrata fuori luogo, assurda, quasi volgare. Forse bastava, come ricordato anche dalla stessa Angiolini, “non lasciare troppo soli le nostre ragazze e ragazzi. L’indipendenza va bene, fa crescere ma è la solitudine a generare i mostri“. Le scatole servono per dare la forma alle nostre vite ma occorre sempre lasciarle aperte per una via di fuga verso la poesia, indipendentemente dal tipo di nodo con cui le abbiamo chiuse. 

 

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