È stata emessa la sentenza definitiva nei confronti del giovane di 18 anni responsabile della strage familiare avvenuta nella notte del 31 agosto 2024 nella villetta di via Anzio a Paderno Dugnano, in provincia di Monza e Brianza. Il ragazzo, che uccise con oltre cento coltellate i propri genitori e il fratellino di 12 anni, è stato condannato a venti anni di reclusione dal Gup del Tribunale per i Minorenni di Milano, che ha accolto la richiesta della Procura per i Minori.
La sentenza del Tribunale per i Minorenni di Milano
La Procura aveva chiesto il massimo della pena prevista dal diritto minorile, ovvero venti anni di carcere, ridotti rispetto al massimo teorico di trent’anni in virtù del rito abbreviato scelto dal giovane. Non è stato previsto l’ergastolo, in linea con i principi della giustizia minorile italiana. La decisione si è basata su una valutazione complessa, che ha dato maggior peso alle aggravanti – tra cui la premeditazione – rispetto al vizio parziale di mente accertato dalla perizia psichiatrica condotta dal dottor Franco Martelli, secondo cui il ragazzo era «sospeso tra realtà e fantasia» al momento del delitto.
Dal canto suo, la difesa ha continuato a sostenere l’incapacità di intendere e di volere del ragazzo la sera della strage, sottolineando che il giovane si trovava in uno stato di profonda sofferenza psicologica. Tuttavia, il tribunale ha dato prevalenza alla versione dell’accusa, ritenendo il quadro aggravante più determinante.
Il legale del 18enne, Amedeo Rizza, ha definito la sentenza «inaccettabile» e «punitiva», annunciando l’intenzione di presentare appello. Secondo l’avvocato, la semi infermità mentale certificata dai periti avrebbe dovuto portare a una riduzione della pena, anche considerando le attenuanti generiche e l’età del giovane, che avrebbero dovuto prevalere sulle aggravanti. «Quando il ragazzo è uscito dall’aula e ha visto i suoi familiari, con cui ha sempre mantenuto un rapporto stretto, è crollato», ha dichiarato Rizza.
Durante l’interrogatorio, il ragazzo aveva confessato il proprio stato d’animo: «Ai miei genitori dicevo che andava tutto bene, ma dentro sentivo un malessere profondo. Mi sentivo estraneo, diverso, spesso incompreso anche dai miei amici. La sofferenza è aumentata durante l’estate, forse anche a causa di un debito in matematica». Il giovane aveva ammesso di aver pensato di «cancellare la mia vita di prima» e di aver maturato l’idea di uccidere durante la festa di compleanno del padre, senza però nutrire rancore verso la famiglia. «Non ce l’avevo con loro – spiegava – ma mi sentivo oppresso e volevo soltanto essere libero. Nella mia logica, compiere un gesto così estremo mi avrebbe dato la forza per affrontare la vita in modo diverso e andare lontano».

La drammatica vicenda si consumò nella villetta di via Anzio, dove la famiglia aveva trascorso una serata serena per il compleanno del padre. Dopo aver giocato per alcune ore alla Playstation con il fratellino, il giovane si era trovato solo davanti alla televisione. È in quel momento che ha deciso di agire: prima ha colpito il fratello che dormiva, poi la madre, accorsa per soccorrere il figlio, e infine il padre.
Il ragazzo stesso chiamò i carabinieri, che intervennero immediatamente trovandolo ancora sporco di sangue. Ai militari dichiarò senza esitazioni: «Li ho uccisi tutti io». Le indagini successive confermarono la presenza di oltre cento ferite da arma da taglio, che testimoniano la brutalità del gesto.
Attualmente, il giovane è detenuto presso il carcere minorile di Firenze, dove sta seguendo un percorso di assistenza psicologica stabilito dal tribunale. La sentenza rappresenta un passaggio importante nel delicato equilibrio tra giustizia e tutela della minore età, un tema che continua a suscitare ampio dibattito nel nostro Paese.