Si intensificano le indagini delle Procure di Napoli e Roma sul caso che ha scosso il mondo dell’informazione italiana: l’uso illecito dello spyware “Graphite”, prodotto dalla società israeliana Paragon, per lo spionaggio di giornalisti e attivisti.
Le autorità giudiziarie hanno formalmente richiesto all’azienda di collaborare per chiarire le dinamiche di questo scandalo, con particolare attenzione a chi abbia effettivamente utilizzato il software per intercettare dispositivi mobili in Italia.
L’inchiesta sulle intercettazioni: chi ha spiato giornalisti e attivisti?
Le procure hanno chiesto a Paragon di fornire informazioni precise sulle licenze attivate per le intercettazioni in territorio italiano. In particolare, si cerca di risalire all’identità degli utenti che hanno impiegato il programma per monitorare telefoni di soggetti coinvolti nel mondo dell’informazione e dell’attivismo sociale. Nonostante l’azienda abbia confermato di poter individuare quale licenza ha attivato l’intercettazione, per ora non ha rilasciato dettagli concreti, riservandosi di farlo solo in presenza di una richiesta ufficiale e circostanziata da parte delle autorità italiane.
Il nodo centrale rimane proprio questo: la volontà delle istituzioni di scoprire chi si cela dietro a queste attività di sorveglianza. Da parte sua, Paragon ha sottolineato di non poter violare i termini contrattuali senza un consenso formale, mettendo così in evidenza l’importanza delle garanzie legali per procedere.
Tra i soggetti spiati figurano alcune figure di spicco del giornalismo italiano e internazionale. Tra questi, il direttore di Fanpage.it Francesco Cancellato, il giornalista Ciro Pellegrino, il fondatore di Dagospia Roberto D’Agostino e la giornalista olandese Eva Vlaardingerbroek. Inoltre, risultano nel mirino anche alcuni attivisti legati al network Mediterranea Saving Humans, come Luca Casarini, Giuseppe Caccia e Matteo Ferrari, noti per il loro impegno nel monitoraggio delle rotte migratorie e per le denunce di violazioni dei diritti umani.
Le organizzazioni coinvolte, pur negando pubblicamente un impiego diretto dello spyware, hanno ammesso in via riservata che alcuni dispositivi sono stati effettivamente infettati. Le autorizzazioni a tali intercettazioni, secondo quanto dichiarato, sarebbero state concesse sotto vincoli di segretezza, alimentando così il dibattito sulla trasparenza e la legittimità di tali operazioni.

Un aspetto cruciale dell’inchiesta riguarda il possibile coinvolgimento di enti pubblici o di intelligence italiane. La società Paragon ha chiarito che spetta agli Stati committenti rivelare se il software è stato utilizzato da organismi pubblici o privati. Questo punto apre una questione spinosa: se il governo italiano decidesse di opporsi alla piena trasparenza per motivi di sicurezza nazionale o di segreto di Stato, la magistratura rischierebbe di incontrare ostacoli significativi nella sua azione investigativa.
Le autorità giudiziarie sono tuttavia determinate a fare luce su questi aspetti, insistendo sulla necessità di accertare se l’intelligence italiana sia o meno implicata nell’operazione di sorveglianza. Il bilanciamento tra tutela della sicurezza e diritto all’informazione si configura come un terreno delicato da esplorare, nel quale si intrecciano questioni legali, politiche e di diritti civili.
Nel frattempo, gli inquirenti proseguono le indagini per tracciare l’origine delle intercettazioni e identificare i responsabili, con l’obiettivo di accertare la verità dietro uno dei più gravi episodi di violazione della privacy ai danni di giornalisti e attivisti in Italia.