La Corte di Cassazione italiana ha espresso, per la prima volta in modo articolato, dubbi di costituzionalità sul Protocollo migranti Italia-Albania, aprendo così un acceso confronto tra il Governo e la Magistratura.
Non si tratta di una sentenza né di un atto formale di rinvio, ma di una relazione redatta dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo, che raccoglie e sintetizza i principali pareri giuridici su questo tema delicato, offrendo una sorta di guida ai giudici della Suprema Corte. Questo documento, datato 18 giugno, evidenzia le criticità normative e costituzionali legate al Protocollo, accendendo un dibattito che coinvolge diverse istituzioni e forze politiche.
I dubbi giuridici sul Protocollo Italia-Albania
La relazione della Cassazione mette in luce diverse perplessità sul rapporto tra il Protocollo e le fonti normative di rango superiore, in particolare sul piano costituzionale e del diritto europeo. Al centro del dibattito vi è l’applicabilità extraterritoriale del diritto d’asilo dell’Unione Europea, tema che ha già portato al rinvio, lo scorso 29 maggio, della questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) per valutare la compatibilità delle procedure di trasferimento e trattenimento con le direttive europee in materia di rimpatri e asilo.
Dal punto di vista costituzionale, la relazione solleva il possibile contrasto con l’articolo 3, che garantisce il principio di uguaglianza, evidenziando come il Protocollo non preveda disposizioni di legge chiare per la selezione dei migranti da trasferire in Albania, creando così disparità di trattamento tra chi resta in Italia e chi viene trasferito. Viene inoltre segnalata una potenziale violazione della riserva di legge sancita dall’articolo 10, che disciplina il diritto d’asilo “secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Il Protocollo, infatti, rimanda all’applicazione della “disciplina italiana ed europea” solo “in quanto compatibile”, lasciando quindi ampi margini di incertezza normativa.
Ulteriori criticità emergono rispetto all’articolo 13 della Costituzione, che tutela la libertà personale: la relazione sottolinea come, cessati gli effetti del trattenimento, sia impossibile liberare i migranti in Albania, con il rischio di una detenzione prolungata senza titolo legale durante l’attesa del trasferimento in Italia. In assenza di alternative previste dalle direttive europee, il trattenimento in Albania rischia di diventare una misura estrema e ingiustificata.
Il diritto di difesa, garantito dall’articolo 24, appare a sua volta compromesso a causa delle modalità di svolgimento delle udienze da remoto, delle difficoltà di accesso agli avvocati e dei tempi ristretti per la presentazione dei ricorsi. Infine, viene evidenziata una possibile violazione dell’articolo 32, che tutela il diritto alla salute, poiché il livello di assistenza sanitaria garantito in Albania è considerato non comparabile a quello italiano.

Il documento della Cassazione ha immediatamente suscitato reazioni forti e contrastanti. Il Movimento 5 Stelle ha definito la relazione come un atto che “fa a pezzi il Protocollo Albania”, sollevando “pesanti dubbi sulla compatibilità” con la Costituzione e il diritto europeo. I pentastellati hanno rilanciato i numeri, sottolineando che solo poche decine di persone sono state effettivamente trasferite, a fronte di oltre 250 mila sbarchi, con un costo stimato di circa un miliardo di euro a carico dei cittadini italiani.
Angelo Bonelli di Avvocati per i Diritti Umani (AVS) ha denunciato che i rinvii alla Corte di Giustizia Europea confermano “l’illegittimità dei trattenimenti” e hanno ribadito come l’intesa con Tirana sia contraria al diritto europeo, calpesti i diritti fondamentali e rappresenti uno spreco scandaloso di denaro pubblico.
Dall’altra parte della maggioranza, Riccardo De Corato di Fratelli d’Italia ha replicato che “le decisioni in materia di politica migratoria e accordi internazionali spettano al potere esecutivo e legislativo, cioè a chi ha ricevuto un mandato democratico”. Ha definito “alquanto curioso” che si parli di “ingerenza” quando un politico esprime un’opinione su una sentenza, mentre le valutazioni preventive e politiche della magistratura sulle scelte del Governo vengano generalmente ignorate.
Il deputato del Partito Democratico, Francesco Boccia, ha invece ricordato che “l’azione della magistratura, nel rispetto del principio di separazione dei poteri, risponde al dettato costituzionale, non al potere esecutivo”. Boccia ha accusato la destra di voler “smantellare lo stato di diritto con provvedimenti assurdi”, sottolineando l’importanza di un equilibrio tra poteri.