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Il Primo Re non è un film perfetto ma la strada è quella giusta

Diciamoci la verità. Quando termina l’ultima scena de Il Primo Re ti sale proprio quella voglia canaglia di pigliare il primo gladio a portata di mano, puntarlo contro il sole e gridare, anche se tifi Lazio da quando hai tre anni, “Roma, Roma, Roma!”. A parte quindi il fomento, assoluto, con cui Matteo Rovere lo  chiude, Il Primo Re non è certamente un film perfetto ma ha delle trovate pregevolissime che certificano come per il cinema italiano, di genere e non, la strada maestra sia proprio questa.

Il primo trailer, quello apparso lo scorso dicembre, ci aveva fatto prendere bene e non è che queste ottime sensazioni in sala poi siano state tradite. Infatti Il Primo Re è proprio epico e brutale come ci si aspettava, con momenti davvero molto forti e cruenti e, in particolar modo sono ottime le scene d’azione, davvero ben realizzate, molto al di sopra anche delle produzioni italiane più importanti. Eppure quello che manca, ed è questo il principale difetto del film di Rovere, è il ritmo che non riesce ad essere né omogeneo né discontinuo per creare tensione ma è un semplice saliscendi tra i già citati momenti di fomento assoluto e altri, bisogna proprio dirlo, che fanno un po’ sonnecchiare. Eppure l’estetica c’è tutta, intendiamoci, con i guerrieri proto-romani e quelli italici abbigliati come una specie di via di mezzo tra un Dark Souls ambientato lungo le rive del Tevere e un The Revenat in salsa capitolina.

Quest’estetica pazzesca, che tra l’altro viene anche esaltata dall’ottimo ricorso (una scelta che abbiamo trovato oltre che deliziosa anche di chiara ascendenza videoludica) di particellari a iosa, non trova un contrappunto nelle parti recitate. Infatti quel protolatino tanto sbandierato in sede di presentazione non fa che appesantire il tutto e non perché sia particolarmente difficile seguire un film sottotitolato (anche se per l’utente medio è ancora un grosso ostacolo) quanto perché  (un po’ come The Revenant già citato) è quasi del tutto superfluo. Gli attori si scambiano infatti poche battute, alcune memorabili ma in larga misura assolutamente in più, che non approfondiscono né il contesto storico, né la psicologia dei personaggi né magari eventuali colpi di scena. Il Primo Re è un film che si sarebbe potuto reggere benissimo senza neppure una battuta o anche solo con quella, epica, anzi epicissima della scena finale (che da sola, ve lo diciamo ancora una volta, vale l’intero prezzo del biglietto, pure se si è scelto di seguirlo nella poltrona vip).

Di Alessandro Borghi ne vogliamo parlare? Il Golden Boy del cinema italiano ancora una volta non sbaglia e funziona la contrapposizione tra suo fool shakespeariano Remo e l’apparente placido Romolo, interpretato da Alessio Lapice. I due sono i reali contrappunti tra il nascente popolo di roma con Borghi che ne incarna l’animo pugnace e battagliero, se non sanguinario e guerrafondaio e Lapice quello più politico e rispettoso degli usi, dei costumi e delle tradizioni. Interessante poi l’interpretazione di Tania Garibba ovvero la vestale che i due fratelli rapiscono dalla città nemica di Alba Longa (anche qui per l’estetica il rimando a Hellblade: Senua’s Sacrifice è evidente anche se magari non voluto).

Insomma, a conti fatti Il Primo Re è un ottimo e pregevole tentativo di rinverdire in tono epico e cazzuto l’epopea dei peplum di casa nostra. Un tentativo che, a conti fatti, in parte è fallito  ma che non può essere giudicato in modo troppo negativo. Borghi è bravissimo, non lo scopriamo certo oggi e Rovere “anche se ha le spalle strette” si farà in futuro. Così come Roma ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie (già proprio come i suoi colli) per diventare la Regina del Mediterraneo, così anche il nostro cinema epico ne deve fare di strada per inventarsi un suo, tanto per dire, Kratos in salsa filmica.

Mattia Nesto

Fa che la morte mia, Signor, la sia comò 'l score de un fiume in t'el mar grando

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Mattia Nesto

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