TV e Cinema
di Simone Stefanini 24 Febbraio 2017

Guardare Trainspotting in televisione mi ha riportato agli anni 90 e non è stato semplice per niente

Nel frattempo ho scelto la vita, ma riguardare lo spleen generazionale degli anni ’90 in tv dopo 20 anni è stata un’esperienza da non ripetere

 

Mentre in tutte le sale italiane tornano Mark Renton e soci nel seguito del film di Danny Boyle del 1996, ieri parecchie persone hanno avuto lo stesso tipo di transfert quando sui social si è diffusa a macchia d’olio la notizia che la TELEVISIONE stava trasmettendo Trainspotting. La televisione, per chi non se lo ricordasse, è quell’elettrodomestico che campeggia nella sala buona e che trasmette immagini a caso. Di sicuro l’avrete notato quanto andare a cena dai vostri genitori e guardate l’Eredità o il Tg1.

Oggi è uno schermo come un altro per guardare tutti i milioni di contenuti dalle piattaforme in streaming o dagli hard disk esterni, per collegarci il decoder di Sky o per impazzire davanti ai programmi tipo Take Me Out di Real Time, per fare notte fonda con le maratone di Mentana e per criticare il Festival di Sanremo una volta l’anno. Purtroppo, a causa delle dimensioni sempre più ridotte, non serve più neanche spenta, come mobile su cui poggiare vasi di fiori o statuine di porcellana con annesso centrino.

 

 museoscienza

 

Che strano, guardare un film con le pubblicità, nessuno ci era più abituato e non si può neppure mettere in pausa per andare in bagno. Una pratica che vent’anni fa era del tutto normale, così come fare notte fonda non su Google, ma davanti alla tv a guardare le televendite ridicole e i telefoni erotici con le signore discinte. Tutto questo per dire che ieri Iris ha trasmesso Trainspotting e vista la concomitanza con l’uscita del sequel, in molti si sono ritrovati a guardarlo proprio come avrebbero fatto nei ’90s.

Una Delorean che raggiunge le 88 miglia tutta fatta di magone, perché una cosa è ricordarselo come film generazionale, altro è guardarlo quando sei diventato più o meno adulto, con un lavoro più o meno fisso e un futuro più o meno poggiato su un binario. Dopo aver visto la corsa di Renton per andare a farsi a casa di Madre Superiora sulle note di Lust for Life di Iggy Pop, ho pensato che in realtà ai millennials e ai nativi digitali, di Trainspotting non gliene potrebbe fregare di meno. Una storia di eroina a Edimburgo negli anni ’90 suona più o meno come suonava a noi che negli anni ’90 eravamo teenager, un film sui trip negli anni ’70, se non fosse per il fatto che Trainspotting ha sdoganato il jeans skinny, quindi la differenza culturale si assottiglia.

Il nativo digitale è nato con la crisi e ha l’obiettivo primario di fare soldi no matter what, il teenager degli anni ’90 è nato col benessere e lo ha visto sparire a poco a poco. Due pianeti distanti anni luce.

 

 

L’alienazione super esposta dei social di oggi non era neppure contemplata, infatti la compagnia tutta maschile si ritrova nei bar e nelle case dei fattoni, a scegliere l’eroina ogni volta che le cose si mettono male, alla faccia del dibattito sulle droghe leggere in Italia 20 anni dopo. Renton, Sick Boy e Spud si fanno, Begbie beve e diventa cattivo, Tommy, che è il salutista del gruppo, sarà l’unico che muore male, insieme alla figlia piccola di Allison. Le due sequenze forti che ti fanno passare la voglia di riguardarlo per sfizio ogni tanto tra amici, perché ti ricordi di quando, la notte dopo il cinema, non hai chiuso occhio per paura di vedere la bambina camminare come un ragno sul tuo soffitto, girare la testa come nell’Esorcista e poi caderti addosso, facendoti morire.

 

 

Tutte quelle riprese ravvicinate di aghi in vena, il gattino che rimane da solo mentre Tommy è riverso a terra, la parola toxoplasmosi, la bicchierata di Begbie, Renton che scopa la minorenne, Spud che si caga addosso e che sparge la merda sulla famiglia della sua ragazza e poi avere degli amici e sentirsi sempre soli, prigionieri di una città in cui non c’è niente, con l’unico desiderio di andarsene via anche a costo di fottere tutti. Ecco Trainspotting e l’eroina è solo un modo per prendere quel treno che porta altrove e che i protagonisti stanno sempre a guardare per poi rimanere inchiodati lì sul binario.

 

Lo spleen generazionale degli anni ’90 che non può colpire al cuore il millennial col biglietto Ryan Air in tasca per volare a 10 euro, con il mondo nel telefono, il porno gratis e la voglia di diventare come uno di quei rapper che dice di fare soldi a palate. Finisce il film e mi ritrovo da solo con un milione di pensieri, parcheggio la Delorean in garage e mi riprometto di non guardare Trainspotting per almeno altri 10 anni, troppo doloroso. Mi addormento con in testa il synth di Born Slippy degli Underworld e mi risveglio di corsa per lavorare, cosciente di aver scelto la vita e tutto il resto.

 

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