TV e Cinema
di Marco Villa 11 Marzo 2012

Young Adult [recensione]

Un film molto Sundance

C’è stato un periodo in cui i film del Sundance, il festival di cinema indipendente più famoso al mondo, erano davvero qualcosa di diverso. Poi, con una rapidità impressionante, si è arrivati a identificare il Sundance non più come una rassegna, ma come un genere vero e proprio.

– Com’è quel film?
– Non male, è una commedia, molto Sundance

Chiaramente non contava più che il film in questione fosse andato davvero al Sundance Festival, però si sapeva che quel molto Sundance voleva dire tante possibili trame diverse, ma uno stile di fondo. Fatto di musiche curate, fotografia sempre un po’ virata (tendenzialmente ai toni caldi), personaggi surreali dalla psiche irrisolta e una grande passione per le famiglie disfunzionali.

Ecco, tutto questo per dire che Young Adult è davvero molto Sundance. È diretto da Jason Reitman e scritto da Diablo Cody, ovvero la coppia che realizzato Juno. Ci siamo capiti, quindi sulle coordinate?

Il film racconta la storia di Mavis (Charlize Theron), scrittrice di libri per giovani adulti, che decide di andare a rovinare la vita del suo fidanzato del liceo, ora sposato e fresco genitore.

Young Adult racconta quindi la storia di una ragazza che è scappata dalla provincia estrema, per arrivare alla provincia meno estrema (Minneapolis) e a una vita diversa dai suoi amici di gioventù, ma che non è soddisfatta. Anzi: è depressa. No: è depressa e alcolizzata, ma in modo surreale. In modo Sundance, direi.

Il ritorno a casa mette in scena il più classico dei confronti con ciò che sarebbe potuto essere, ma non è stato: la normalità della vita degli amici che furono, che inizialmente fa inorridire Mavis, ma poi la spinge a fare i conti con quello che sta combinando nella sua vita.

Tutto già visto e già raccontato, ma, per buona parte della sua durata, Young Adult riesce a farlo in modo leggero, con un umorismo vagamente nero e cattivo che funziona e tiene bene fino alla scena madre. Scena madre che dà il via a un ultimo quarto d’ora stanco, fiacco e telefonato, che quasi rischia di rovinare quanto di buono messo in scena in precedenza.

Quasi.

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