TV e Cinema
di Simone Stefanini 15 Febbraio 2017

La comicità nazionalpopolare da villaggio turistico è morta, parola di Giorgio Montanini

Abbiamo intervistato Giorgio Montanini a ruota libera su Brignano e Crozza a Sanremo, Grillo su Netflix, il caso Luttazzi e la vera essenza della comicità

Giorgio Montanini è un rappresentante della stand up comedy italiana, la fa dal 2008, da quando è entrato a far parte del gruppo Satiriasi – L’officina della risata fondato da Filippo Giardina. In seguito ha portato nei teatri spettacoli come Nibiru, Liberaci dal bene e Per quello che vale, mentre in tv ha curato la copertina di Ballarò in sostituzione di Crozza, ha partecipato a Nemico Pubblico su Rai 3, Stand Up Comedy su Comedy Central, fino a Nemo – Nessuno escluso, attualmente su Rai 2.

La sua comicità è caustica, viscerale, satirica e provoca reazioni forti, un po’ come quella degli stand up comedian americani. Ci siamo sentiti in occasione del Festival di Sanremo, grazie a un articolo in cui avevo sognato uno come lui sul palco dell’Ariston invece di Brignano. Ne è uscita fuori una lunga chiacchierata sul significato del comico e sugli equivoci in cui spesso cadiamo.

 

Ci siamo sentiti in occasione del mio articolo in cui dicevo che nell’evento più nazionalpopolare italiano non puoi metterci i comici nazionalpopolari. A bruciapelo, tu andresti a Sanremo?
Prima di leggere il tuo articolo, scherzavo con la mia agente dicendole che Sanremo è l’evoluzione naturale per un comico come me e quello che hai scritto è giusto. Prima infatti c’andavano Benigni e Grillo da giovani, quando erano in forma, ora invece è una bestemmia culturale, quelli che ci vanno sparano le ultime cartucce e sono tutte a salve. Sono un po’ di anni che il momento comico a Sanremo è devastante per quanto è brutto. Panariello, Pintus, tutte figure di merda. Crozza ha fatto la figuraccia più grande di tutte quando si è fermato, senza salivazione, per due persone che lo hanno fischiato. Un comico vero che ha fatto un po’ di palco avrebbe ringraziato Dio per due persone che gli rompono i coglioni in diretta e le avrebbe distrutte. Avrei pagato 100.000 euro per essere al suo posto.

E di Brignano che mi dici? Al Festival quasi tutti lo hanno criticato
Quest’anno Brignano a Sanremo me lo sono risparmiato, non l’ho proprio voluto vedere, anche perché l’anno scorso se non sbaglio ha fatto un monologo di 4 anni fa e non credo abbia cambiato la sua comicità nel frattempo. Per colpa dell’ignoranza sbandierata e manifesta, c’è un equivoco gravissimo nel nostro ambito: credere che la comicità sia una questione di gusti. Brignano a suo tempo era il numero uno di un certo tipo di comicità e io me la prendevo con lui già da quando ero totalmente sconosciuto. La comicità non è una questione di gusti. Se ti piace quella che facevano a Zelig, ridere per ridere stile avanspettacolo anni 50-60, quella è morta. L’arte interpreta la società e la cultura del momento e se tu come artista non sei in grado di interpretare la società che stai vivendo, non sei un artista e il fatto che tu in un paese leader della comicità come l’Italia venga visto come artista non vuol dire che tu lo sia.

Era uno spettacolo trito e ritrito di avanspettacolo con le canzoncine
Quel tipo di comicità era frutto del dopoguerra e la guerra è la peggiore cosa che possa succedere alle persone. Quando ti muoiono i familiari, ti crolla la casa, ti bombardano e muori di fame, non ti interessa sentire parlare delle contraddizioni della società o della religione, perché il dramma è così forte che quelle cose vengono messe da parte, risultano inopportune. La gente vuole liberarsi da un incubo e allora vuole assistere a una comicità spensierata, come quella nel film di Alberto Sordi, che gira l’Italia con la carovana di attrici e ballerine. Non era una prerogativa italiana, anche in America le cose andavano così, fino a che un barzellettiere, un comico d’avanspettacolo che lavorava con la madre, Lenny Bruce, si rompe i coglioni di parlare di barzellette e di balletti, sale sul palco e dice: “Ma quei due professori del liceo che sono stati licenziati perché si stavano a fare un pompino a vicenda in bagno, a me non interessa se erano gay, io voglio sapere se erano o meno bravi nel loro lavoro.” Lo arrestano, ma intanto ha dato inizio a una rivoluzione culturale. Ecco, da quel momento in poi cambia tutto nel mondo e oggi basta avere YouTube per sapere queste cose. I comici americani più pop sono Robin Williams o Jim Carrey e fanno dei monologhi di una classe e di un’originalità che non hanno nulla a che vedere con il nazionalpopolare da villaggio turistico di un Brignano. Questo  non vuol dire che tutto debba essere satira. Che poi i comici più famosi al mondo siano sempre comici satirici è un altro discorso, basti vedere Louis CK adesso, a suo tempo George Carlin, Bill Hicks, gli Oscar li presenta Chris Rock, Ricky Gervais fa i Golden Globe.

Sì ma Brignano fa ridere o no?
Brignano cappottava i club, non è che non faccia ridere ma paradossalmente è impossibile per un comico usare il parametro della risata, sarebbe come dire se un calciatore ha le gambe o no. È il presupposto, che poi alcuni comici non facciano per niente ridere è solo un’anomalia italiana. Il tormentone però è un abominio, un bug del sistema. Brignano fa ridere, ma come fa ridere? Il pubblico non si chiede mai “Perché rido?” Se uno cerca il ridere per ridere, c’è un comico imbattibile, si chiama la macchina del solletico. Vai a teatro, ti compri una di queste macchine e ridi finché non ti scoppiano le coronarie, ma uno non dovrebbe pagare un biglietto per avere solo lo stimolo al riflesso incondizionato della risata. Uno attraverso la risata vuole trovare l’effetto catartico, l’emozione diversa dalla risata in sé. Non è ridere il fine dell’arte, è attraverso la risata che uno esprime l’arte. Se tu fai il comico, hai scelto il mezzo col quale fare arte, come per un musicista la chitarra, ma poi ci devi mettere qualcosa lì dentro. Questa non è un’opinione, è oggettività.

 

Si cerca di fare un po’ di chiarezza tra comici pop americani e italiani, di satira e di stand up, però poi Netflix Italia confonde tutto sparando Beppe Grillo come stand up comedian tra i vari Louis CK e compagnia
Beppe Grillo può essere interpretato come stand up comedian solo erroneamente, la stand up non è solo la traduzione letterale di comico in piedi, altrimenti anche Aldo Fabrizi era uno stand up. Il comico puro, dal dopoguerra in poi, non racconta le barzellette, parla di se stesso. CK parla dei suoi figli, Hicks delle sue tragedie con la droga, Beppe Grillo non ha mai detto una parola seria sulla sua vita privata, ha sempre puntato l’indice contro gli altri, fin dalle prime apparizioni, infatti poi ha creato un partito, perché in sostanza è un arringatore di folle. Il fatto che in quegli anni l’Italia fosse un paese blindato dal punto di vista politico e quindi anche una battuta mediocre come quella di Grillo sui cinesi e i socialisti lo abbia fatto cacciare dalla Rai… ma quella è una battuta che poteva fare mio fratello al bar. Netflix Italia si trova da un punto di vista comico in difetto nei confronti degli americani e quindi mette Beppe Grillo. Un po’ come Comedy Center mondiale dice a Comedy Center Italia “Dovete fare stand up comedy, siete l’unico paese al mondo che non ce l’ha”. Noi siamo indietro di 50 anni ma le cose stanno evidentemente cambiando. Poi certo, Netflix Italia per vendere non ci mette certo me, ci mette Beppe Grillo, che oggi fa il politico, e non c’è niente di più distante da un politico di un comico.  Dal punto di vista culturale, il politico al di là dei propri interessi e del proprio punto di vista, sceglie una ricetta che possa essere buona per la comunità. Il comico fa l’esatto contrario: dà solo il suo punto di vista, totalmente opinabile e non cerca consenso dal pubblico. Come fa un comico a diventare politico? È un contro senso molto grave che però ha una spiegazione altrettanto semplice: in un momento devastato dalla politica italiana come questo, la gente disperata cerca un punto di riferimento. Il ruolo del comico invece viene confuso: dovrebbe essere un poveraccio che tramite le sue miserie ti fa sentire un po’ meglio alla fine dello spettacolo, e invece viene visto dal pubblico come oracolo e quel comico potrebbe crederci, è questo il dramma.

 

Giorgio Montanini con il fratello e la mamma di Bill Hicks Facebook - Giorgio Montanini con il fratello e la mamma di Bill Hicks

 

Parlando proprio del pubblico, tu come ogni stand up comedian, spesso coinvolgi e tratti male il pubblico, arrivando ad augurare la morte. C’è qualcuno che se ne va o s’incazza?
Certo che si incazzano. Ora è un po’ diverso perché se uno viene a vedere me, non è che capita lì per caso, All’inizio quando ero proprio sconosciuto, un certo atteggiamento creava tensioni e allora prima degli spettacoli mettevo sempre le cose in chiaro: la satira è così, non la invento io, dai tempi di Socrate e Plauto era urticante e volgarissima quindi non prendetevela con me. Il fatto è che in tv sono io che vengo a casa vostra, tramite un editore, qui siete venuti voi a casa mia, avete comprato un biglietto quindi se non vi sta bene potete alzarvi e andare via senza rompere i coglioni. Spesso qualcuno se ne va perché c’è qualcosa che gli ha dato profondamente fastidio, c’ha proprio la rabbia dentro e siccome quando il pubblico esce io non me l’inculo, non lo guardo neanche, quando si alzano me lo devono proprio dire: “Basta, non ne posso più”. Questo è meraviglioso.

Uno dei primi in Italia a dare molto fastidio nei suoi spettacoli era Daniele Luttazzi. Mi piacerebbe sapere il tuo punto di vista sulla sua faccenda.
Se ti piaceva Luttazzi, e io ero uno dei fan più sfegatati, vuol dire che ti piace tutta la comicità americana degli ultimi 30 anni. Certo che dava fastidio, aveva battute di Carlin meravigliose, di Hicks, monologhi di Chris Rock, aveva attinto ai migliori comici mondiali.

Nell’era pre YouTube, quando guardavo i suoi DVD, per me era strepitoso
Strepitoso. A chi non piaceva, non capiva un cazzo della comicità. Quando è venuto fuori che copiava le battute, è morto artisticamente. Luttazzi era l’anti Berlusconi. Anche lui, come Sabina Guzzanti, ha fatto quel passo che il comico non dovrebbe fare mai, cioè il capopopolo, solo che farlo porta tanti nuovi fan e tanti soldi. Luttazzi a differenza di Grillo lo sapeva, perché Luttazzi conosce la comicità meglio di chiunque altro in Italia. Sapeva che un comico non si può permettere di avere un seguito politico e allora per un po’ ha tenuto i piedi in due staffe, ma c’ha marciato come riferimento antiberlusconiano, tant’è che nell’editto bulgaro lo cacciano insieme a Biagi e a Santoro.

Ma ci sarà una sorta di codice d’onore tra voi per non rubarvi le battute no?
Ma non tra noi, gli esseri umani in generale non dovrebbero essere scorretti. Se io vado nell’Africa nera e faccio “Essere o non essere, questo è il problema” e poi dico “Grazie questa l’ho scritta ieri sera”, commetto un atto gravissimo. Luttazzi ha compiuto un abominio contro l’arte, infatti non s’è più presentato in nessun spettacolo, perché è il politico, quello a cui viene perdonata l’incoerenza. Berlusconi era tutto il contrario di tutto, era Family Day e poi andava a puttane, ma il politico prende i voti per una questione di convenienza, chi lo vota dice “Sì è un puttaniere, non mi fido di lui ma magari mi dà una mano”. L’artista no, se il pubblico si sente imbrogliato e ti volta le spalle tu hai finito. Quello ti segue solo per la tua coerenza. Io sono convinto che Berlusconi, arrivato a un certo punto, credesse davvero di essere il bene. All’inizio l’ha detto anche lui, ha iniziato con la politica per non andare in galera ma poi si è convinto d’essere il bene. Luttazzi lo stesso, si è talmente introiettato questa cosa che non potevano scoprirlo, che a un certo punto ha davvero creduto che tali battute fossero sue. Quando in uno spettacolo si è lamentato con Bonolis per avergli rubato la battuta della farfalla che scoreggia, in realtà quella era di Carlin. Una follia. A lui l’ha fregato la banda larga. Finché non c’era,  in un paese in cui nessuno conosce l’inglese, lui aveva fatto bingo.

 

 braciamiancora

 

Lui ha finito la carriera prima di appiattirsi del tutto, come pare sia successo a Benigni. Ma è una parabola consolidata che dopo un po’ di anni un comico smetta di fare satira?
Carlin l’hai visto a 70 anni sul palco, poco prima di morire? Era ancora più cinico di quando era giovane. Benigni  a un certo punto ha smesso di essere un comico impopolare, che faceva incazzare più della metà delle persone che lo andavano a vedere con bestemmie e volgarità di ogni tipo, poi è diventato il portavoce di Papa Bergoglio. È un po’ il discorso di prima, credi di esser e diventato quello che non sei, cioè un simbolo, quindi tradisci l’essenza della comicità. Il comico satirico non è mai meglio di quello che denuncia. Paga sempre un prezzo, non può permettersi di stigmatizzare un comportamento altrui se non paga con un litro di sangue suo. Io, prima di insultare le persone bigotte sul sesso o sulla religione, parlo del mio rapporto col sesso e metto in evidenza quanto io possa essere ancora maschilista o sessista, poi mi posso permettere di parlare di loro. Bill Hicks parlava di droghe ma anche del fatto che prima le aveva provate tutte. Quindi Benigni era un comico satirico? Abbiamo forse scambiato l’irriverenza e il politicamente scorretto con la satira? Forse ai tempi la satira era intesa solo come attacco al potere inteso come Governo, ma ora non è più così. Ai tempi di Aristofane il potere era quasi irraggiungibile, era divino. Da quando abbiamo iniziato a votare, il potere è deciso dai cittadini tramite le urne, quindi chi ha il potere? La satira moderna se la prende con l’uomo medio, quasi mai con chi governa.

 

Mi hai fatto riflettere su un fatto a cui non avevo mai pensato:  se vado a vedere uno spettacolo di stand up comedian, poi il comico mi sembra di conoscerlo intimamente, mentre di Benigni non so un cazzo
È vero, nemmeno io. Benigni è stato mitizzato come un attore, come una rockstar mentre il comico non deve essere mai mitizzato, perché quando lo vedi sul palco, vedi proprio quella persona lì, non l’attore. Attraverso l’artificio comico ti fa emozionare ma tu non riesci a mitizzarlo perché lo conosci. Un comico non può parlare solo degli altri, deve portare sul palco le proprie miserie, che sono talmente tanto tragiche che solo attraverso la risata te le puoi veicolare, altrimenti non verrebbero accettate da quanto sono indigeste. Arlecchino non parlava di traffico, parlava di potere, di fica, di miseria e di fame. Questa però, come dicevo prima, non è la mia opinione, è la storia. Poi io posso non piacerti, posso non farti ridere e quello ci sta, ma non dite cazzate quando parlate di questione di gusti, perché se non ascoltiamo più Nilla Pizzi in radio c’è un motivo, che è lo stesso per cui non funziona più la comicità nazionalpopolare. A me vengono a vedere i ventenni, a Brignano i vecchi. il cambiamento è culturale è inevitabile e non è certo merito mio, quella roba c’era già, è di Lenny Bruce.

 

 

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