Viaggi
di Edoardo Ghibaudi 19 Marzo 2021

Pregi e difetti della vita in una farm neozelandese

Immersi negli scenari pazzeschi della Waitaki Valley, circondati da animali cui si finisce inevitabilmente per affezionarsi, il lato oscuro della vita in una farm neozelandese, ma anche tutti gli aspetti più positivi, tra vestiti che puzzano di concime e mucche incredibilmente intelligenti e dispettose.

Ore 4:00 del mattino, la sveglia suona. Fuori fa molto freddo, ma dentro casa la situazione non è molto migliore. Mi rigiro nel letto, non ne voglio sapere di alzarmi. Qualche minuto dopo la mano di mio fratello mi scuote, quel segnale è il mio termine ultimo: alzati ora o saremo in ritardo.  Consumiamo la nostra colazione con la solita voracità, nel silenzio che quell’ora del mattino richiede, facendo il pieno di energie e caffè. Ci vestiamo: il nostro outfit ha quell’odore forte, marcato e facilmente riconoscibile di concime, ed è quel profumo così penetrante che ci da il risveglio definitivo dal torpore mattutino, ricordandoci ancora una volta, nel caso ce ne fosse bisogno, che viviamo e lavoriamo in una dairy farm neozelandese e l’olezzo di merda è parte integrante dell’esperienza. Un altro giorno di quest’assurda esperienza lavorativa sta per cominciare.

La nostra casa in mezzo al nulla  La nostra casa in mezzo al nulla

Quando abbiamo varcato il confine Neozelandese per la prima volta, io e mio fratello non abbiamo mai escluso nessuna possibilità lavorativa. Come in tutti i viaggi di cui si conosce la partenza ma non il ritorno, bisogna essere pronti ad ogni eventualità, specie quando il portafoglio accende la spia della riserva. Ma, devo dirvi che lavorare in mezzo a migliaia di bovini dalle 5 alle 17 per tre mesi di fila nel pieno del freddissimo inverno kiwi della magnifica Waitaki Valley, beh, quella era davvero un’idea molto remota nella mia immaginazione. E’ stata un’esperienza che, seppur non lunghissima, ci ha fatto vivere la parte più importante dell’anno lavorativo di un’azienda che si occupa di allevamento: quella delle nascite. In questi precisi mesi dell’anno (Luglio e Agosto) le mucche danno alla luce i loro cuccioli, successivamente, noi farmers prendiamo in carico i vitellini per nutrirli e curarli iniziando (per niente lentamente, ahimè) a vederli crescere.

L’alba mentre andavamo al lavoro  L’alba mentre andavamo al lavoro

Ma facciamo un passo indietro: la stagione delle nascite è iniziata un mese dopo il nostro arrivo. Le prime due settimane il nostro impiego era ben diverso da quello che si sarebbe poi rivelato essere il vero mestiere. Ogni mattina presto partivamo dall’alloggio che ci era stato fornito dai capi (una casa tanto grande quanto gelida, in una tenuta di altre casette nel bel mezzo del nulla) e guidavamo per una mezz’oretta attraversando gli splendidi paesaggi della valle che andava schiarendosi. Giunti a destinazione, il nostro posto di lavoro ci accoglieva a braccia aperte. Un enorme recinto di ferro al cui interno erano contenuti altri recinti più piccoli che delimitavano gli spazi in cui le mucche attendevano il loro turno per accedere al recinto successivo, fino ad arrivare al corridoio finale dove, in fila indiana, aspettavano di ricevere il vaccino di turno (curioso vero).

Una parte dei recinti  Una parte dei recinti

La parte più bella del recinto era il ground: una piscina di merda liquida che arrivava, nei punti peggiori, anche fino alle ginocchia. Il nostro lavoro consisteva nel far spostare le mucche da un recinto all’altro, stando alle loro spalle ed emettendo i più buffi suoni di cui eravamo capaci per farle muovere, spesso allargando le braccia e agitandole, cercando di non farle scappare alle nostre spalle. Alcune sì, sono proprio dei bei peperini e tentavano di tutto pur di farci perdere la pazienza. Quando il primo lotto di mucche era stato interamente controllato, smistato (a volte mi facevano lavorare nel pezzo di recinto in cui se tiravi una corda si apriva una porta e se ne tiravi un’altra se ne apriva un’altra) vaccinato e sanificato, toccava al prossimo lotto, che da una distanza abissale vedevamo lentamente avvicinarsi verso il nostro recinto, “spinto” e guidato alle loro spalle da un arzillo vecchietto che guidava un quad a passo d’uomo, e soprattutto da Jack, un cagnolino di taglia media che spronava le mucche a proseguire la loro marcia in ordine per più di un chilometro. Quando sentivamo i suoi abbai avevamo giusto il tempo per bere un po’ di caffè caldo dal nostro thermos.

Jack alle prese con una carcassa  Jack alle prese con una carcassa

È davvero un lavoro molto impegnativo. Non tanto perché la giornata lavorativa inizia almeno un paio d’ore prima di quella di un lavoratore normale. Stare in piedi ed essere in continuo movimento, spesso facendo anche fatica a camminare nel terreno fangoso, è davvero estenuante. Alla stanchezza fisica si aggiunge anche una grossa parte di stress mentale: alcune mucche hanno voglia di giocare o, più verosimilmente, non ne vogliono sapere di entrare in quel dannato recinto e tu devi fare in modo di convincerle senza, naturalmente, usare la violenza. Peccato però che una mucca pesa cinque volte un essere umano e, anche se in molti non lo direbbero, sa essere estremamente veloce. Inutile provare a fare scudo con il corpo per intimarle di tornare indietro, alcune scappavano sempre, a volte con un bel servito che includeva anche una bella spintarella con annesso tuffo nella merda. Se parlo per esperienza? Certamente sì.

Mucche decisamente ostinate  Mucche decisamente ostinate

Quando queste due settimane di smistamento e controllo terminarono, con non poca gioia da parte nostra, iniziò la vera esperienza nella farm, una vastità di enormi terreni in cui mucche di diverse età, condizioni fisiche e dimensioni pascolavano allegramente che vedeva il suo centro lavorativo nello Shed, il capanno dove i capi venivano munti e rimandati successivamente nei loro paddocks. La mattinata volava via abbastanza in fretta. Come d’abitudine, qualcuno stava sempre alle spalle delle mucche che lentamente e in ordine (almeno le prime) salivano sulla piattaforma che, girando lentamente, concedeva il tempo necessario per mungere. Due persone erano incaricate del compito più difficile, quello di inserire le quattro ventose nelle mammelle delle mucche, e dovevano farlo rapidamente, perché la piattaforma non smette mai di girare a meno che qualcuno non lo chieda esplicitamente, come quando si ha a che fare con un animale particolarmente spaventato o incazzato. Al termine della piattaforma si trovano altre due persone: una col compito di rimuovere le ventose, l’altra adibita alla sanificazione delle mammelle tramite apposito spray. Un’altra persona gira intorno alla piattaforma per controllare che nessuna mucca si sia tolta le cups interrompendo quindi la mungitura. Vi assicuro che alcune di quelle furbacchione aspettano il tempo necessario a scomparire dalla vista del primo farmer per togliersi, con un piccolo e accurato calcetto, le ventose dalle mammelle. Hanno un’intelligenza tale, le mucche, da lasciarti esterrefatto: se non ci avessi mai lavorato non lo avrei mai scoperto.

La piattaforma per la mungitura  La piattaforma per la mungitura

A quel punto la mucca vede finalmente la via di casa, i cancelli sono aperti e sistemati in modo che possano tornare in autonomia nel loro paddock. La mungitura delle nostre mucche durava, nel suo insieme, circa 4 ore. Insomma, tra le 9 e le 10 del mattino ero già stanco come se fossi a fine giornata, ma mi sono abituato in fretta. Del resto eravamo pagati a ore. Una buona seconda colazione accompagnata da una tazza del latte più fresco che abbia mai bevuto rinfrancavano subito spirito e corpo, dando nuova benzina per affrontare il resto della giornata. C’era poi, naturalmente, la parte di pulizia: bisogna aver chiaro in mente che le mucche non si fanno problemi a fare i loro bisogni mentre sono sulla piattaforma, che come potete immaginare necessita di una bella pulita dopo quattro ore di mungitura. Disposti a distanza di una decina di metri l’un dall’altro, usavamo grossi idranti che ci permettevano di far scivolare via tutta la merda grazie al loro potente getto d’acqua. Alcuni di voi staranno arricciando il naso immaginandosi una scena del genere, per chi scrive, invece, era la parte più divertente della mattinata. Quante volte una mucca mi ha defecato o urinato sulle braccia mentre la mungevo? Ho perso il conto. Così come non conto i calci che mi sono preso sulle mani o sugli avambracci. Non ho mai riportato dolori o ferite particolari, anche se una volta una maledetta schiacciò con violenza la mia mano tra il suo zoccolo e la protezione di ferro facendomi vedere le stelle per qualche momento.

Alcuni cuccioli sono dei veri coccoloni  Alcuni cuccioli sono dei veri coccoloni

Dopo alcune settimane di questa routine, il tanto atteso Day 1: il giorno in cui avremo cominciato a tenere tutti i vitellini. Le mattinate cambiarono nettamente, nel bel mezzo della mungitura venivamo spediti in specifici paddocks in cui dovevamo raccogliere tutti i vitellini che vedevamo. Così montavamo sul RAV (una macchina tutta scassata adibita apposta ai lavori in farm), agganciavamo un rimorchio di discrete dimensioni e partivamo alla volta del sito indicato. Una volta arrivati, beh, il nostro compito era dividere i vitellini dalle loro mamme, che spesso non erano molto d’accordo, e sentirle piangere mentre ci allontanavamo con i loro cuccioli non era proprio facile all’inizio. A volte tornavamo con trenta vitellini, a volte con quindici, man mano che la finestra temporale delle nascite andava terminando rientravamo con sempre meno cuccioli. Alcuni di questi ci davano parecchi grattacapi per farsi acciuffare sfruttando la copertura delle mamme che facevano scudo muovendosi in branco, assurdo come dopo poche ore di vita siano già in grado di mettersi in piedi e iniziare a correre. Nel frattempo anche la mungitura era cambiata, bisognava mungere prima le mucche neomamme così da avere tutto il latte necessario per sfamare i cuccioli e, solo successivamente, mungere le altre bestie.

RAV, l’auto della farm  RAV, l’auto della farm

Ma la parte più difficile nella cura dei vitellini era insegnargli a mangiare. Nei loro primissimi giorni di vita si procede a una specie d’intubazione: con un’enorme bottiglia da due litri, bisogna lentamente infilare una cannuccia lunga come un avambraccio nella gola del cucciolo e capovolgere rapidamente il “biberon”. Dopo i primi giorni di questo spiacevole metodo, si passa alla fase due, dove invece usavamo grandi abbeveratoi pieni di latte da cui i piccoli, col nostro faticoso aiuto, imparavano lentamente il concetto del “ciucciare”. Una volta imparato quel gesto la strada era in discesa: facevano tutto da soli. Mentre con mio fratello eravamo in giro a recuperare i nascituri, altri ragazzi riempivano gli abbeveratoi sui quali, una volta imparate le basi, i vitellini si fiondavano affamati iniziando a succhiare ancor prima che venisse versato il latte. Uno dei momenti più teneri della vita in farm.

Con mio fratello alle prese con l’allattamento  Con mio fratello alle prese con l’allattamento

A volte con Nick, mentre eravamo nel bel mezzo di un paddock a raccogliere vitellini appena nati alle 7 del mattino, ci capitava di fermarci e, chiusi in macchina, ci prendevamo due minuti di pausa per guardare il sole sorgere alle spalle di una collina in lontananza e disquisire sull’assurda bellezza dell’esperienza che stavamo vivendo. Tanto splendida quanto faticosa e puzzolente. Ci raccontavamo che in un futuro, nemmeno troppo lontano, ci sarebbero mancati alcuni aspetti della vita da farmer: lavorare con gli animali all’aria aperta in una vallata bellissima, addormentarsi di sasso appena la testa tocca il cuscino, gli dicevo spesso io. Questi pazzi colleghi farmers e le tue cene a fine giornata mentre camera nostra si scalda col caminetto, mi ribatteva lui.

Il nostro panorama quando ci prendevamo una pausa  Il nostro panorama quando ci prendevamo una pausa

Un contesto lavorativo unico nel suo genere che porta di conseguenza a emozioni e sensazioni altrettanto singolari e irripetibili. Per l’onestà intellettuale di chi legge, prima di salutarvi, va fatta una piccola premessa: se si lavora in una dairy farm (specialmente nel periodo delle nascite) si ha a che fare con un lato oscuro parecchio inquietante. È un lavoro con dei risvolti tremendamente drastici, è crudo, ingiusto e per stomaci forti. Il famoso Day 1 di cui vi parlavo prima si chiama così per un motivo ben preciso: tutti i vitellini nati prima questa data, purtroppo, erano soppressi perché considerati prematuri. La prima volta che ho sentito un fucile non capivo cosa stesse succedendo. Uno, due, cinque, dieci. Non ricordo cosa stessi facendo, ma mollai tutto e mi avviai nella direzione degli spari. Arrivato, vidi uscire da un piccolo recinto uno dei manager della farm che sorridendo mi chiese “You all right, boy?”. No, manco per il cazzo. Quel piccolo recinto da cui era uscito si chiama “the shooting paned era effettivamente l’unico di tutti i recinti per cui ci avevano detto di non perdere troppo tempo, di non pulirlo. Da quel giorno, capii perché. Iniziando a usare la parte più razionale della mia testa, compresi con molta freddezza che quello cui aveva appena assistito è sempre successo e, molto probabilmente, succederà ancora per lungo tempo. Ero scosso ma, peggio ancora, ero totalmente impreparato. Quante volte ho mangiato, per dirne una, il vitello tonnato? E’ per questo che così tante persone sono vegane o è solo una moda del momento? E che dire delle migliaia di famiglie in giro per il mondo che sopravvivono da generazioni grazie agli allevamenti di animali? Si può uccidere un animale in maniera etica? Quant’è sottile la linea tra il non conoscere e il non voler vedere? L’esperienza in farm è stata come assistere a uno spettacolo di Arturo Bracchetti, ma da dietro le quinte. Ero sempre stato seduto dalla parte della platea ad applaudirlo, senza chiedermi fino in fondo come fa a cambiarsi così in fretta, cosa renda quello show così meraviglioso.

Vitellini che si nutrono  Vitellini che si nutrono

Rimane un’esperienza totalmente unica. Ho cercato di essere breve e non vi ho parlato dei colleghi, del nostro primissimo giorno passato interamente a spostare merda dal punto A al punto B, delle mucche simpatiche che venivano a farsi coccolare, di quando una collega si è presa un calcio in faccia mentre mungeva fracassandosi due denti ma non ha fatto una piega, o di Alice, una vitellina che sarebbe dovuta morire perché considerata troppo piccola ma che ho nascosto per un paio di giorni salvandole poi la vita. Come ogni lavoro ci sono aspetti più o meno belli ma lo considero uno dei mestieri più belli che abbia mai avuto la possibilità di svolgere. Ne avrò sempre un bel ricordo, alimentato soprattutto dalle foto che ogni tanto mi arrivano di Alice che sta bene e vive serenamente la sua vita. Chissà se ogni tanto mi pensa anche lei.

Selfie dell’autore con Alice  Selfie dell’autore con Alice

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