Strano
di Marco Villa 31 Gennaio 2016

Better Days Festival: Entonote e gli insetti che mangeremo (molto presto)

L’80% del mondo mangia insetti, perché a noi fanno schifo?


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Ogni anno mangiamo 500 grammi di insetti. Tutti. Li mangiamo perché la cocciniglia, un colorante molto usato, è ricavato dall’insetto che porta lo stesso nome. L’idea di cibarci di un grillo o di una cavalletta, però, ci fa ribrezzo: È tutta una questione culturale: metà del mondo mangia da sempre insetti e non per necessità, ma perché piacciono. È questo il punto di partenza da cui partono Giulia & Giulia di Entonote, un’associazione culturale che si pone come obiettivo la divulgazione dell’entomofagia.

È un’abitudine che si sta pian piano diffondendo anche in Occidente: a Londra si mangiano insetti al ristorante, lo chef del Noma di Copenaghen li cucina e in Belgio una decina di specie di insetti si comprano direttamente al supermercato. Una diffusione che procede a macchia di leopardo, in un vuoto legislativo pressoché totale a livello europeo.

 

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Eppure i motivi per insistere sulla coltivazione di insetti sono molti, primo fra tutti l’enorme dispendio di energie e risorse che vengono impiegate per nutrire e far crescere un bovino: per un kg di carne consumata, vengono usati 14mila litri d’acqua e con il costante aumento della popolazione mondiale si va verso la non-sostenibilità.

Gli insetti, al contrario, ottimizzano questo aspetto: Esistono 1900 specie commestibili di insetti e ognuna può essere mangiata come uovo, come larva o come insetto adulto. A differenza dei bovini, l’insetto ha bisogno di meno risorse ed è ricco di proteine e grassi.

 

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Il problema, però, è soprattutto culturale: “L’80% del mondo mangia insetti e anche in Sardegna si mangia da sempre formaggio con i vermi. Perché fanno paura? antropologicamente alcune cose disgustano altre no: a livello biologico, non ci sono grosse differenze tra insetti e crostacei. Anzi: gli insetti spesso sono più puliti, visto che l’aragosta è chiamata la spazzina del mare, per dire

Il disgusto, insomma, non è altro che un fattore culturale, che può essere superato. E probabilmente sarà così, anche prima di quanto si possa immaginare.

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