Natura
di Lorenzo Mannella 27 Novembre 2015

Gli scienziati italiani che danno cocaina alle anguille non sono pazzi

Quello che resta degli stupefacenti finisce nei fiumi, mette a rischio i pesci e gli scienziati li stanno studiando

Il capitone  L’anguilla e la cocaina erano due mondi distanti anni luce

 

Su internet trovi notizie davvero strane, come quella delle anguille italiane con problemi di cocaina. Sembra uno scherzo, ma in realtà gli stupefacenti disciolti nell’acqua di fiume – perché è là che vanno a finire dopo il consumo da parte degli esseri umani – potrebbero causare dei problemi di dipendenza nei pesci, tanto da renderli incapaci di riprodursi. Ecco perché alcuni scienziati italiani hanno cercato di capirci qualcosa.

Uno studio di laboratorio ha fatto il punto su cosa succede alle anguille immerse in acqua contaminata artificialmente da cocaina. I primi risultati indicano che i pesci non se la passano molto bene. Abbiamo chiesto qualche dettaglio in più ad Anna Capaldo, ricercatrice dell’Università di Napoli Federico II che si occupa del fenomeno. “Abbiamo visto che con una dose di cocaina pari più o meno a quella presente nei fiumi (20 milionesimi di milligrammi per litro), dopo circa un mese e mese e mezzo l’animale concentra la molecola soprattutto nei muscoli.

 

Il Po a Torino zena011 - Il Po a Torino

 

Le conseguenze sono quelle che seguono: la cocaina causa degli sbalzi ormonali nei pesci. “Uno di questi ormoni è la dopammina, che inibisce la capacità dei riproduzione dei pesci,” ci dice Capaldo. Ma il vero problema è che la dopammina si accumula soprattutto quando i pesci sono in astinenza. È il caso delle anguille che migrano dai fiumi (più contaminati) per raggiungere la loro area di riproduzione nel Mar dei Sargassi meno contaminata dagli stupefacenti.

Le anguille potrebbero non arrivare mai arrivare a destinazione. La loro riserva di grasso accumulata per il viaggio si consuma prima. Potrebbero addirittura non partire mai.” In quel caso, questi pesci sarebbero destinati a scomparire. Insomma, addio capitone per Natale. Ma la questione non riguarda solo le anguille o i pesci del meridione: tracce di stupefacenti sono state rinvenute in “Po, Arno, Tevere, nel Tamigi a Londra e in alcuni fiumi spagnoli.

 

La foce del fiume Arno Toksave - La foce del fiume Arno

 

Il problema dell’inquinamento da droghe potrebbe essere più esteso e sottovalutato del previsto. “Esistono vari studi scientifici che dimostrano che nelle acque dolci ci sono tracce di diversi tipi di stupefacenti: cannabis, cocaina e morfina. E il consumo di droghe purtroppo è in crescita.

Il passo successivo sarà quello di verificare se la contaminazione di cocaina nei fiumi italiani stia già mettendo a rischio i pesci. Il gruppo di ricerca di Capaldo ha presentato un progetto al Dipartimento per le politiche antidroga, che però non ha fatto sapere più nulla. “L’idea era di andare a monitorare Po, Arno e Crati, prelevando anguille o altri pesci per misurare la concentrazione di cocaina e altre droghe.

Sappiamo che l’inquinamento ambientale può causare gravi danni alle specie animali: sui media si legge spesso di metalli pesanti e composti tossici, ma in pochi finora hanno preso in considerazione l’effetto delle droghe che si disperdono nelle fogne e nei fiumi. “Siamo i primi a studiarlo nei pesci” ci dice Capaldo. E visto che in acqua le droghe si mescolano, sarà importante capire se le anguille dei nostri fiumi non siano vittime di cocktail di stupefacenti.

 

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