TV e Cinema
di Mattia Nesto 27 Agosto 2020

Tenet, un meraviglioso pasticciaccio brutto

Dopo aver visto il nuovo film di Nolan siamo usciti dalla sala con sentimenti contrastanti ma con un amore ancora più folle per il cinema

Quindici minuti. Sì, quindici minuti e non ci stiamo riferendo alla durata dell’intervallo tra il primo e il secondo tempo di una partita di calcio. Per parlare infatti di Tenet (che però andrebbe, deliziosamente, scritto TENƎꓕ) la misura temporale ideale è proprio il quarto d’ora. Perché di quarti è composto il nuovo film di Christopher Nolan, probabilmente il più intimamente “nolaniano” di tutti dai tempi di Memento, con però i muscoli, il budget e la possibilità di realizzare tutti i sogni e le idee possibili di film quali Dunkirk o la Trilogia del Cavaliere Oscuro.

Ma che cos’è Tenet? Ok, è una parola palindroma, quindi che che letta in senso inverso mantiene immutato il significato (a proposito se avete voglia di un bel palindromo di marmo fate un giro dalle parti del Duomo di Siena e cercate il “quadrato del Sator”, poi ci ringrazierete) ma se dobbiamo essere sinceri, nonostante per tutto il film venga ripetuto non sappiamo bene rispondere a questa domanda. Non tanto per evitare spoiler quanto perché, almeno a nostro giudizio, non è per nulla al mondo il fulcro del film.

Tenet è anche e soprattutto un “film di ruolo”, per usare un termine videoludico tanto è vero che John David Washington (figlio di Denzel), il main charachter del film, non ha neppure un nome proprio ma viene indicato, quelle rare volte che accade, con l’enigmatico appellativo de “Il Protagonista”. Nolan non volendo dare un nome proprio al suo protagonista, sfonda immediatamente la quarta parete e ci mostra subito la sua, magari non chiarissima, idea di cosa sia questo film: un film ideale, nel senso nato e cresciuto attorno a un’idea, che si “serve” dei protagonisti umani/attori come semplici pedine che si muovono secondo precise regole di gioco.

Come avrete visto dai trailer, sostanzialmente, la posta in palio di Tenet è quella, molto banale, di salvare il mondo dalla Terza Guerra Mondiale,  che non sarà combattuta a livello nucleare bensì temporale. E qui ritorna ancora una volta uno dei grandi “tarli” di Nolan: ovvero il tempo e, in questo caso, la possibilità di tornare indietro e avanti nel tempo. Questo è possibile grazie a una misteriosa, e inquietante, tecnica segreta che permette di modificare l’entropia, invertendone il senso di marcia. Invertendo l’entropia, ecco che si può plasmare lo scorrere del tempo più o meno a piacimento.

Ecco, ok, ma cosa c’entrano i quindici secondi? Beh, senza essere una presenza fissa come Dunkirk o anche lo stesso Inception, diciamo che qui l’orologio, sia inteso come oggetto che come categoria filosofica, ha un peso molto importante, sia dal punto di vista della trama sia, cosa non sempre espressa al meglio, rispetto all’esposizione registica.

Il primo quarto d’ora in cui è possibile dividere il film è quello iniziale, quando assistiamo a un attentato terroristico al Teatro Nazionale di Kiev. Beh, lasciatecelo dire: qui Nolan tocca uno dei punti più alti della sua carriera, con una scena tesissima e ricca di adrenalina in cui, finalmente, ogni movimento e azione dei personaggi viene ripresa e seguita dalle camere, rendendo il tutto adrenalinico come poche altre volte. Forse alcuni di voi, dando uno sguardo ai trailer, avrete visto anche la famosa scena dell’inseguimento in macchina con la “marcia indietro” di quella guidata da Neil, aka Robert Pattinson (degli attori parleremo tra poco) e avrà gridato al miracolo: beh a nostro giudizio quei quindici minuti dell’assalto al Teatro Lirico di Kiev non solo superano quella scena ma si attestano nella top five delle migliori scene in assoluto di Nolan.

Tuttavia, sempre per tornare al discorso dei quindici minuti, ecco che dopo quell’esplosione di emozioni il film si incarta. Arriva il momento, classico nelle opere del regista britannico, dello spiegone, in cui i fatti, situazioni e posta in palio vengono presentati. Beh se Inception in questo eccelleva, qui il film si arena. Il primo quarto d’ora legato ai motivi scientifici di Tenet e poi quello successivo dedicato a quelli politici non solo mancano di ritmo ma fanno anche un po’ acqua da tutti i pori: troppi dialoghi passabili e troppa concentrazione su dettagli poco importanti alla trama a discapito di altri con un peso specifico maggiore.

Questo senso di mancanza di fluidità viene anche acquisto dalla prova di John David Washington che non abbiamo molto gradito. Pur essendo Il Protagonista con la lettera maiuscola, sembra sempre un passo indietro rispetto a tutti gli altri, in particolare al Neil interpretato da un Pattinson non solo freschissimo ma perfettamente calato nella parte. Nella seconda parte del film le scene di azione perdono di qualità così come i dialoghi e a poco serve l’ingresso sulla scena di Kat Sator, interpretata da Elizabeth Debicki. Anche qui una prova attoriale assolutamente monocorde e che ci ha fatto proprio perdere ogni possibilità se non di immedesimarsi almeno di empatizzare un minimo con lei.

Ecco il grande difetto di Tenet: è un fighissimo esercizio di stile, dove uno dei migliori registi della sua epoca è stato messo in grado di dare libero sfogo ai suoi sogni e alle sue idee, con, praticamente, budget illimitato. E se la parte finale ritorna sui livelli della prima, pur non raggiungendoli e apprezzando l’ardita impalcatura ideale e filosofica dell’opera di Nolan, abbiamo scorto quasi in ogni scena i fili che reggevano la scena e questo ci ha tolto un bel po’ di magia e ha rotto ogni possibilità di “sospensione dell’incredulità” (ogni riferimento al “capitolo” di Mumbai è voluto).

Insomma Tenet non è una fetecchia o un flop come si legge da tante parti su internet e sui giornali (bastano i quindici minuti iniziali per giustificare il prezzo del biglietto) e vederlo al cinema dona un’impressionante dose di emozioni, tuttavia è, sicuramente, una delle opere più fredde, rigidamente concettuali e algide di Nolan. E da uno che, in fondo, fa anche film d’azione, ci aspettavano se non un pelino più di sangue almeno una manciata di cuore in più.

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