Perché tutti parlano di Tiger King?

Tiger King è il documentario più scorretto che vi sia mai capitato di guardare su Netflix. Nel mezzo ci sono grossi felini, un sospetto omicida, persone scomparse, poligamia e altre amenità

Cercare di dare un senso logico a quanto sto per descrivere credetemi non è cosa facile; non ci saranno spoiler precisi sui personaggi di questa storia né cercherò di costruire teorie fondate sugli eventuali risvolti finali della serie televisiva che sta mandando in pappa il cervello all’America intera (e non solo).  Sto parlando di Tiger King: Murder, Mayhem and Madness, che in caso non lo conosceste è una nuova docuserie diretta da Eric Goode e Rebecca Chaiklind e disponibile su Netflix dal 20 marzo 2020.

La prima puntata parte con un salto temporale indietro di 5 anni, quando Eric Goode si trova a Homestead in Florida, per iniziare una ricerca sul mercato nero di serpenti velenosi: “Quando ho dato inizio a questo progetto non avevo idea che avrei sprecato 5 anni della mia vita e che sarebbe andata a finire tanto male. Tutto è iniziato quando indagavo su un noto commerciante di serpenti nella Florida del Sud”.

Peccato che poi il nostro narratore si imbatte casualmente in un tizio (a cui io personalmente non affiderei neanche il mio pesce rosso), che aveva appena acquistato un leopardo delle nevi, in Florida, d’estate, con 40 gradi all’ombra. Bizzarro, pensa a quel punto Eric Goode e così, preso dall’irresistibile fame del cronista, inizia questo viaggio, per scoprire qualcosa in più sulle persone che acquistano felini di grossa taglia negli Stati Uniti D’America.

Da qui si apre un vaso di Pandora che contiene tutto ciò che di più unpolitically-correct esiste sul territorio americano; come mai direte voi, bhè perché Eric decide di far partire le sue ricerche dal più grosso zoo privato dell’Oklahoma, il “Parco di Animali Esotici di Wynnewood”, il cui “sindaco, procuratore, poliziotto e boia” è Joseph Allen Schreibvogel aka Joe Exotic. Un folle a piede libero con dei capelli impossibili, chiari problemi di socializzazione e affettività che porta avanti la sua personale guerra contro Carol Baskin, proprietaria del Big Cat Rescue uno zoo che tenta di salvare i grandi felini da persone come Joe. Prima che iniziate a simpatizzare per la povera Carol, vi fermo subito, pure lei dopo qualche episodio mette i brividi, non ci sta con la testa, è persa in un mondo fatto di coroncine di fiori e abiti animalier ed è pure allergica ai gatti. Valla a capire.

La domanda ora sorge spontanea: di che cosa parla quindi Tiger King? Ed è qui che la risposta diventa piuttosto complessa, poiché nonostante io personalmente sia arrivata già alla sesta puntata (in totale sono 7), ancora non riesco a dare una descrizione precisa di quello che sto guardando, sono semplicemente ipnotizzata ed incollata allo schermo tutte le sere di questa ennesima settimana di quarantena.

Provate a mettere insieme in un ordine totalmente causale e senza alcuna logica: un sospetto omicidio, animali esotici, cuccioli di tigre, sètte per ragazzine adolescenti, omosessualità, merchandising di bassa lega, persone scomparse, un suicidio, matrimoni poligami, elezioni politiche, metanfetamina, indagini federali, Scarface, l’Oklahoma intero, mitomani e un botto di musica country homemade.

“Cosa cazzo sto guardando?” è il primo pensiero che mi è venuto in mente dopo aver finito la seconda puntata, ma inconsciamente mi domando una cosa ben più inaspettata, che poi sta alla base del successo di qualsiasi serie televisiva: come diamine finisce una storia così? Ed ecco che le milioni di persone che stanno davanti alla serie tv più scorretta del secolo, sono immediatamente giustificate.

Il business delle tigri e dei grandi felini in America è una cosa sconcertante: esistono più tigri in cattività sul suolo americano che esemplari liberi in tutto il mondo. C’è poi un altro fattore psicologico determinante in tutta questa storia, che funge da filo rosso nello scorrere di ogni puntata: l’amore e la passione morbosa che contraddistingue quella categoria di persone che amano i grandi felini, che non sono le stesse persone che, per esempio, amano le scimmie, no! Gli amanti dei gatti giganti e più pericolosi del pianeta sono legati tra loro da un sentimento invisibile piuttosto malato e inquietante.

© Netflix  © Netflix

La visione di questa serie provoca un sali e scendi di sensazioni piuttosto strane ed ambigue: sei inizialmente indignato, e non vorresti fare altro che chiamare il WWF per denunciare tanta malvagità e sfruttamento, poi però a un certo punto ridi anche a crepapelle perché i personaggi che popolano le vari scene sembrano costruiti a tavolino, sembrano uscire da un film di Adam Sandler, ma poi ecco che ripiombi nel cringe e nel disagio più assoluto quando realizzi che la serie che stai guardando è un documentario, e quindi, è tutto reale. Esiste per davvero gente che vive così. E’ follia, pensi.

Il tutto è condito da una cultura popolare molto lontana dalla nostra: l’Oklahoma è uno degli stati più conservatori degli Stati Uniti, un feudo del Partito Repubblicano dai primi anni del 2000, c’hanno ancora la pena di morte per intendersi. Capite bene che tutta la serie di cose che vi ho citato poc’anzi, relegate in un contesto sociale del genere, stridono non poco. Non è un caso se stanno alzando polveroni enormi dalla release delle docuserie in tutti gli Stati Uniti, e comprendo solo ora come mai è etichettata come VM14, io che ingenuamente durante la visione della prima puntata ho esclamato “perché mai un documentario su delle splendide creature animali dovrebbe essere vietato ai minori di 14 anni?”. Ora lo so.

Se per caso alla fine della lettura di questo articolo non avete ancora capito niente di quel che è “Tiger King: Murder, Mayhem and Madness”allora vuol dire che avete capito tutto. Buona visione.

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