TV e Cinema
di Mattia Nesto 20 Dicembre 2021

Spider-Man: No Way Home: nascita (in ritardo) di un eroe

Questa recensione sarà piena zeppa di spoiler come i canditi nel panettone milanese al gusto di Spider-Man: No Way Home.

Spider-Man: No Way Home è un’accozzaglia di cose messe un po’ a caso, un po’ alla rinfusa per portare sullo schermo i tre, più o meno iconici, Spider-Men cinematografici. Se dovessi spiegare con una e una sola frase che cosa sia Spider-Man: No Way Home non avrei dubbi a utilizzare proprio quella che avete appena letto. Eppure, al netto di una realizzazione filmica che, come ormai, ahinoi, l’MCU ci ha abituato, è davvero poca cosa (se non proprio “l’anti-cinema” per eccellenza) non è tutto da buttare in questo “film”, anzi, a conti fatti è di gran lunga il migliore della “prima trilogia” dedicata all’amichevole Uomo-Ragno di quartiere.

Innanzi tutto Spider-Man: No Way Home ha un primato: era dai tempi di Avengers Infinity War (qui la nostra recensione) e Avengers Endgame (qui la nostra recensione) che non si avvertiva un simile hype un’uscita cinematografica, questo bisogna ammetterlo. Al di là del fatto che Spider-Man sia, senza ombra di dubbio, ancora oggi “il” supereroe per eccellenza, questa grandissima attesa è stata anche aumentata e alimentata, più o meno ad arte, dai centinaia di leak, anticipazioni e rumors che hanno fatto sì che l’opinione pubblica mondiale abbia avuto la certezza, ancora prima di vederli su schermo, che in questo film ad affiancare Tom Holland, ci sarebbero stati gli altri “due Uomini Ragno” cinematografici, ovvero Tobey Maguire e Andrew Garfield, protagonisti rispettivamente della trilogia di Sam Raini e del dittico The Amazing Spider-Man.

Parlare di questa “trinità ragnesca” all’inizio di questa recensione non è, a mio modo di vedere, errato perché, sostanzialmente, il film si regge quasi esclusivamente su questo pretesto, ovvero su come fare per portare sullo schermo in contemporaneo i tre Spider-Men cinematografici. Tanto è vero che il pretesto per fare ciò, ovvero il desiderio di Peter Parker di fare dimenticare alla popolazione mondiale del fatto che lui sia Spider-Man, viene più o meno realizzato attraverso un incantesimo da Doctor Strange. In realtà la motivazione è, al tempo stesso, un attimo più sottile e più grossolana: infatti, proprio per il fatto di essere Spider-Man, Peter Parker viene respinto da ogni università degli Stati Uniti e con lui anche la sua amata MJ e il suo amico fraterno Ned. Proprio per non rovinare la vita a loro, che non hanno fatto nulla per meritarselo, Peter chiede aiuto a Strange. Tutto giusto? Beh, non proprio visto che Peter Parker (seppur un giovane ragazzo non è un deficiente, almeno stante la versione fumettistica) non prende neppure la briga di chiedere informazioni o un incontro formale con i vertici dell’università: semplicemente all’ennesima lettera di rifiuto pensa sia più ottimale realizzare un incantesimo che coinvolgerà qualcosa come sei miliardi di persone!

Ora vi è chiaro che se Spider-Man: No Way Home principia tutta la trama da questa azione le basi su cui si poggia sono fatte di marzapane. Detto questo, in realtà, se dal punto di vista registico non ci sono particolari guizzi (ma neppure evidenti baratri) va detto che alcune scene di azione, soprattutto la prima comparsa del Doc Octopus sono davvero ben realizzate. Già perché, ovviamente, l’incantesimo non va a buon fine e questo comporta il fatto che due universi ragneschi, con annessi super-villain, finiscano per collassare all’interno del mondo di Peter Parker/ Tom Holland che si troverà costretto ad affrontare Sandman, giustappunto Octo Octavius, Goblin, Electro e Lizard (i principali nemici delle precedenti trasposizioni cinematografiche).

Se abbiamo detto che Tom Holland ci regala la sua migliore interpretazione come Uomo Ragno (bastava poco) questo è stato possibile anche per la scelta migliore di Spider-Man: No Way Home, ovvero quella di fare morire la deliziosa zia May interpretata da Marisa Tomei. Sarà infatti il Goblin ad uccidere l’adorata zia in una scena molto toccante: un attimo prima infatti, May aveva detto a Peter che sarebbe stato ingiusto, come voleva fare Strange, semplicemente “rispedire nei rispettivi universi” i villain, visto che, tutti, avrebbero trovato di lì a poco morte certa. May, che incarna i più profondi valori umani di carità e solidarietà, dice a Peter che è giusto e corretto fornire una seconda possibilità a tutti loro, studiando il modo di guarirli piuttosto che di punirli, se non proprio di giustiziarli: da un grande potere, insomma, derivano grandi responsabilità.

La morte, truculenta e senza possibilità di scampo, di May scatenerà in Peter, finalmente (dopo ben due film a lui dedicati!) la pulsione a crescere e a prendersi, più o meno da solo, le proprie responsabilità. Esattamente come nella origin-story dei fumetti, Parker oscillerà tra la voglia di perseguire il consiglio di May, “fare del bene, aiutare tutti” e quella di sfogare la propria rabbia contro i cattivi, un po’ come nella indimenticabile scena dello Spider-Man di Raimi nella quale il non ancora amichevole Uomo-Ragno di quartiere massacra a calci e botte il malvivente che, poche ore prima, aveva sparato, uccidendolo, l’adorato zio Ben. Spider-Man: No Way Home racconta insomma la crescita, intima e personale, come eroe e come adulto di Spider-Man che, forse nel momento più alto di tutto il film, sta per uccidere il Goblin con il suo stesso aliante. Sarà lo Spider-Man adulto, interpretato da un ottimo Tobey Maguire a fermarlo un attimo prima di compiere l’insano gesto. E proprio quest’azione di legalità contro la forza bruta dà esattamente il segno di cosa Spider-Man: ovvero l’eroe più popolare di tutti, quello che passa da salvare un gattino bloccato su un albero ad aiutare una vecchietta a attraversare la strada e poi, nel caso, a salvare l’universo.

Spider-Man: No Way Home, pur reggendosi su presupposti a dir poco traballanti, fa il suo dovere consegnandoci un polpettone ricolmo di fan-service comunque realizzato con un buon gusto e tanto cuore. Sicuramente l’ideale per tutti gli appassionati dell’Uomo Ragno (e ci mancherebbe altro) e che, nella prima scena post-credit, pare certificare come, ringraziando tutto ciò che c’è di buono e giusto in questa terra, avremo un “Venom” o comunque una storia del simbionte (a proposito, qui il nostro approfondimento sulle storie a fumetti su questo specifico tema) slegata da quegli due orridi film con protagonista Tom Hardy.

Non se ne ha, naturalmente, ancora certezza ma la scena è abbastanza esplicita da poter fare nutrire buone speranze su ciò. Il film si conclude con Peter Parker che, dopo aver chiesto a Strange di far dimenticare non l’identità di Spider-Man ma proprio l’esistenza di egli stesso al mondo intero, va a vivere da solo, in un appartamento che ricorda molto da vicino quello del primo film di Raimi. Insomma un nuovo inizio per davvero. Dopo tre film stand-alone però e con una nuova trilogia già in cantiere.

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